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Prenditi cura di me _ (caleido_7)

Gocciola. Gocciola. Gocciola. Scandisce lo spazio lanciandosi da una superficie a quella sotto. Il nero è così morbido da risultare soffocante, non esistono contorni ma si capisce che è denso: ad ogni goccia il suono si fa pastoso, resta incollato alla caduta.
Gocciola. Gocciola. Gocciola. Un mormorio disperato che sembra non dover finire mai, senza forma se non il nero. Il suono, non sapendo dove aggrapparsi, cerca pareti con le unghie, scivola inesorabile nel nulla che lo contiene. Non si permette la resa e lascia che la materia continui a colare.

Esiste niente ma il sacrificio di ogni goccia che cade tambura come un conto alla rovescia. Il nero vacilla, trema per un minuscolo istante: una goccia si lancia e il suono rimbomba, l'energia esplode in scintilla.

Oggi sono venuto al mondo. Il fuoco si è impadronito della materia distruggendone la sostanza: è partito dal centro e con cura ha smantellato ogni singolo elemento. Mai una volta ho provato la paura mentre i suoi denti incandescenti rosicchiavano senza sosta i materiali; mai una volta mi sono prostrato in cerca della sua pietà.
La mia vita è il frutto grezzo della libertà del fuoco e dell'animo nero e cupo della bellezza: mi fermo a contemplare l'esterno per trovarmi in qualcosa. Sono come un grumo di fili annodati e se mi muovo inciampo e cado; silenzioso e leggero il mio dolore, il mio coraggio. Dalla ferita del cielo arriva il mio primo respiro che con uno strappo secco si fa spazio nei miei polmoni, ora sono più profondo.

Mentre respiro ancora giaccio inerme su un crinale, sento il bisogno di tracciare i mei confini attraverso lo scontro con il mondo. Voglio capire il sapore del ferro, del legno, dell'erba sulla mia pelle, mi allungo verso questo desiderio e sento nascere da me degli arti, si proiettano verso l'esterno come a poter conquistare il mondo in un istante.
Si aprono due ferite e la luce si schianta contro il nero che porto dentro, le cicatrici che ne derivano sono le forme della natura: la caccia è aperta e io sono la preda di me stesso.

Dai prolungamenti principali ne escono altri più sottili e inizio a toccare tutto. Sfrego, palpo, modello, strofino, spezzo: mi costruisco un vocabolario di azioni che modificando l'esterno modellano me stesso.
Un'anima sottile come un filo d'erba mi ha tagliato la strada e d'istinto l'ho rincorsa. È fatta di fuoco nero e denso come il mio e il terrore di perderla di vista mi ha spinto ad afferrarla, più e più volte. Ogni tentativo mi ustiona le mani, mi consuma le dita e io non so più lavorare.
Ho perso il controllo e l'effetto del fuoco è irreversibile: le nostre fiamme non possono piegarsi e restiamo soli ad ardere cercando di conoscerci di nuovo.

Io divento compulsivo, ripetitivo, più faccio più godo; sono stanco, sporco, piegato dalla fatica e con il respiro corto. Sono contento e le piante parlano ai nodi nella mia testa.
Ogni volta che la natura mi aggredisce mi provoca una ferita, si prende un pezzo di me che io sostituisco e rattoppo con qualcos'altro. Prima agisco e poi penso, è l'unico modo che ho per non sentire il dolore dell'ago che affonda nella pelle.

Ero materiale inerme e senza respiro, ora sono un insieme di scarti che azzanna il mondo in una corsa compulsiva verso la morte. Vivo "come i pazzi che cullano le pietre bisbigliano loro: amore".  

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