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Visualizzazione dei post da luglio, 2015

Ti volevo dire qualunque cosa tu abbia pensato_

Se dovessi ancora portare le giustifiche a scuola per i ritardi, la compilerei in questo modo: il soggetto ventenne post università non è in grado di gestire le prime “cose serie” che la vita gli mette davanti (lavoro-a singhiozzo se sei fortunato, soldi-un giorno arriveranno, puntualità-prima non mi serviva, responsabilità- xanax a garganella) e si trasforma in un essere arruffato, scostante e privo di qualunque rispetto delle scadenze. Come immagine userei quella di un bambinetto dalle cosce grassocce che barcolla a braccia tese verso la mamma e, momento di pura ilarità, finisce per schiantarsi faccia a terra a due centimetri dall'arrivo. Fine della premessa. C'è una storia che sto seguendo da tempo ma che fino ad oggi non ho mai raccontato, troppo gelosa per lasciarla andare. Durante l'ultima puntata però, la storia si è dimostrata così adulta e formata che sarebbe ingiusto continuare a tenerla nel taschino. Avete presente l'ordine? Quello mania

Protezione 50 _

Credo di essere arrivata al punto in cui voglio anzi devo, trovare un nuovo nome all'estate. Per me, studentessa fino a ieri, è sempre stato un gioioso momento dell'anno che iniziava con festivalbar e finiva con l'acquisto della smemo. Un susseguirsi di giorni profumati di pesche, cloro e salsedine. Di piante secche mediterranee che emanano una nota dolciastra portata dalle gocce di sangue cristallizzato, rubato ai polpacci degli esploratori di deserti. L'insalatiera (la tazza era da principianti) di latte e cerali al cioccolato davanti a ignoranti telefilm anni 90 e il pigiama come unico out fit della stagione. Ma soprattutto l'estate era senza sensi di colpa: era me-ri-ta-ta. Il confine tra dovere e piacere era chiaro, buoni voti, nessun debito, bacio accademico e ci rivediamo a settembre. Tutto questo e mille altri piccoli piaceri sono sempre stati racchiusi in una sola parola: estate, come il gelato alla panna dentro il magnum. Quindi oggi, a qu

Obnubilare _

Si dice che con la nascita delle carte geografiche non siamo più in grado di immaginare il mondo. Chi mi ha raccontato questo pensiero non ha voluto trascinarsi dietro la solita ombra funesta: niente catastrofismi, sfiducia nel mondo e perdita di immaginazione; nessun piagnisteo di gioventù o profezia apocalittica. Semplicemente un cambio di prospettiva: non trovi niente sulla terra? Guarda al cielo. Tutti gli stimoli che giungono da fuori li interiorizziamo e li trasformiamo. Un pensiero, per essere costruttivo, non può partire dalla volontà di riscatto, non può cioè partire da un conflitto. Se così fosse sarebbe un pensiero di rivalsa generato partendo dalla stessa idea avversaria che si tenta di distruggere, e si finisce con il portarla avanti rimanendoci impiastricciati dentro, anche se con volontà contraria. Inutile provare a spostare le isole per cambiare la geografia terrena, tanto vale alzare gli occhi e disegnare costellazioni nelle infinite possibilità del cielo

Use & Bye _

Ho sempre adorato le macchine fotografiche usa e getta della Kodak. Le compravo prima di andare in gita scolastica alle elementari con la raccomandazione di “non fare troppe foto che poi svilupparle costa un sacco”. Ovviamente finivo il rullino nei primi 10 minuti del viaggio in bus e poi scattavo a vuoto per il resto della giornata, girando forsennatamente la rotellina. Una volta a casa non dichiaravo la quantità di foto scattate (che poi nel rullino ce ne stavano 25), nascondevo la macchinetta e, visto che si portava a sviluppare solo una volta finito, non credo di aver mai visto i prodotti artistici delle mie istantanee di fanciulla. Di questa sequenza di elementi qualcosa mi deve essere rimasto addosso negli anni, come un trauma non elaborato che mi porto dietro, perché c'è un aspetto della mia vita che ricorda esattamente il funzionamento delle macchine fotografiche usa e getta. Quando si inizia ad aggirarsi intorno al quarto di secolo il carico di aspettative

12° sagittale - 16° laterale _

Essendo un po' più lenta del normale nel processare le cose, ci arrivo sempre dopo. La sensazione è la stessa di quando sulla giostra a catene si riesce finalmente ad acchiappare l'agognata coda sventolante, per poi scoprire che era l'ultimo giro e il parco chiude e tu resti lì, pennacchio alla mano e sorriso interrotto. Fatto sta che solo ora, dopo mesi che porto avanti questa specie di ricerca, mi sono resa conto che tutti, tranne i ventenni, parlano di cosa voglia dire avere vent'anni (o su di lì) al giorno d'oggi. Sfortunatamente non sono sufficientemente integrata “nel gruppo” per diventarne testimonial, rappresentante o capro espiatorio, quindi mi limito ad usare parole di ex giovincelli per spiegare un concetto che mi ha affascinato e che ho rubato origliando una conversazione tra ventenni reali (alla quale, ovviamente, non ero stata invitata). Nel 1931 un certo Paul ha distrutto ogni mia aspirazione iniziando un libro con la frase che avrei