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Visualizzazione dei post da 2015

Evviva l'ansia e compagnia_

I maniaci della puntualitá sanno che il prezzo della loro lotta con l'ansia da lancette, sono le attese. Per mantenere la psicosi sotto controllo quando si viaggia, bisogna sostenere lunghe e placide ore su sedie scomode fino a diventare invisibili per la gente che scorre accanto e che prende quei due o tre voli prima del loro.  Le sale d'attesa sono vuote quando contengono gli ansiosi e chi fa le pulizie. E un pó sfigato ti ci senti a star lì. A meno che non ti cancellino il volo.  Le compagnie aeree sono così graziose da mandarti anche un messaggino sul telefono nel quale si scusano per l'inconveniente. Che carini. Solo che non lo inviano proprio a tutti, se non gli stai simpatico non ti dicono nulla, ma questa volta il messaggino é arrivato ad un ansioso. Stava lí a fissare con fare fesso i passeggeri del volo precedente, facendo ciao ciao con il pensiero: la fila si consuma e resta lo scorrere del carrello delle pulizie sul marmo, gli addetti stanno chiudendo il

Sottoinsiemi - 2 _ Semplice

Alzare la mano per fare una domanda è una forma di rispetto verso chi, presumibilmente, ha la risposta. Un po' scolastico come metodo, detta una delle prime gerarchie della vita, quella verso la conoscenza. Se ci figuriamo il sapere come una lunga scala, ogni quesito che ci poniamo e a cui troviamo una risposta, è un gradino salito e alzare la mano è tendere tutto se stessi verso quella meta. Questi tipi di figurazioni sono solo dei sotterfugi per comprendere i concetti altrimenti astratti: la scala e l'ascesa sono figli di un retaggio culturale ancorato dentro di noi (Dio e compagnia bella). Una volta consapevoli di questo, possiamo tranquillamente continuare ad usarli perchè l'importante in questi processi conoscitivi è capire, indipendentemente dalla strada utilizzata. Se si intraprende la direzione della semplicità, sicuramente si avranno maggiori possibilità di successo. La prima cosa che un buon professore insegna quando si inizia a scrivere una tesi di laurea

Oggi ho imparato che_

Una chiacchiera sempre più ricorrente tra le giovincelle di venti e passa anni, riguarda la questione figli e il fatto che no grazie, ne faccio a meno. Sembra che l'istinto materno si sia un po' annacquato negli ultimi decenni e che gli ormoni si mettano a gridare un po' dopo rispetto al solito. Il corpo è mio ci faccio quello che voglio, sono una donna indipendente, io un essere umano su questa terra non lo faccio nascere...un sacco di motti post femminismo corrono di bocca in bocca alimentando il mercato di cani, gatti, piante e spingendo la pampers a lanciare una nuova linea di sacchettini per la raccolta cacche (fonte non attendibile). Per quanto mi riguarda sono sempre stata una bambina devota alle bambole, con una gigante idea di me come patrona assoluta della casa e dei miei mille pargoli-schiavetti. Cucino, pulisco, rammendo come una vera signorina ma tant'è che l'ondata di uteri sterili ha raggiunto anche me. Adoro i bambini degli altri perchè

Happy b-day Sottoinsiemi – 1

La matematica è una donna bellissima che non se la tira. È magnifica sotto ogni punto di vista e chi la odia lo fa solo perchè sa che non potrà mai farla sua. È così eclettica da avere in sé anche elementi minori, più semplici e deliziosi, come i sottoinsiemi. Questi sono, per definizione (personalizzata), adorabili elementi di un sistema più grande e complesso con cui condividono qualcosa, mantenendo una certa indipendenza. I sottoinsiemi sono estremamente intelligenti, mica dei pecoroni. Quando penso a loro mi sale quel risolino vezzoso che solitamente dedichiamo ai neonati (solo quelli belli) o ai cani (loro sono belli tutti). Tanto che ho sempre sognato di trovare un peluche a forma di sottoinsieme da stritolare o di avere il coraggio di travestirmici a carnevale. Trovando difficoltose le precedenti ipotesi, ho deciso di aprire una rubrica in loro onore: nasce quindi Sottoinsiemi – (e poi un numero crescente in base alle uscite). In pratica ho deciso di aprire un'ulteri

Pestare chewingum_

Le sostanze appiccicose rimandano spesso a Robin Williams: dal bagno negli spaghetti in Patch Adams a quella cosa adorabile che è Blob, dall'immagine di Mrs Doubtfire che si toglie la maschera dal viso all'occhio gelatinoso di Jack. Probabilmente perchè generano solo una lieve sensazione di disgusto che risulta ancora divertente, nonostante ci sia qualcosa nella parola appiccicoso che fa venire i brividi. Saranno la sequenza di “i” e “c” che compongono la parola, ma il risultato fonetico è inquietante: corre lungo la schiena fino a provocare la strizzatina di chiappe. Esiste una storia che descrive perfettamente questo tipo di sensazione (non la stretta di natiche ma quella cosa sulle mani dopo che si mangia la frutta). In questo racconto succedono tante cose, ma la parte che colpisce è la descrizione dell'interno del corpo del protagonista: regna una grande confusione e in questi ambienti salubri e bui, si agitano delle ombre. Si parla di una stanza dalle p

Riti di Passaggio_

Si potrebbe andare tutti quanti 
allo zoo comunale.
 Vengo anch’io. No, tu no.
 Per vedere come stanno le bestie feroci
 e gridare aiuto, aiuto è scappato il leone,
 e vedere di nascosto l’effetto che fa. Vengo anch’io. No, tu no.
Vengo anch’io. No, tu no.
Vengo anch’io. No, tu no.
 Ma perché? Perché no! Una generazione di graziati da Dio. Piccoli tesori tenuti sotto cupole di cristallo, come la rosa della Bella e la Bestia. Su molti di noi il controllo è iniziato ancor prima del concepimento: programmati, studiati, cercati o capitati, fotografati assiduamente dalla grandezza di un fagiolo a quella di un cane. Pargoletti come tanti altri che al massimo ci tagliavamo le manine scartando le merendine. I nostri sogni erano prodotti in vertiginosi letti a castello, per ricordarci di essere allevati su un piedistallo. I grembiulini scolastici (bei tempi) erano armature imbottite di gomma piuma, perchè nulla poteva scalfire le nostre anime color pesca. Se disgraziatamente

Quando la vita accelera (che chissà perché ha una L sola)

In una qualche università americana con un sacco di tempo da investire, hanno riscontrato che la domanda più posta al mondo è “come stai?”. Le risposte fornite variano a seconda di una serie di fattori, ma solitamente si opta per un classico “bene grazie, e tu?” (declinato nelle varie lingue del caso). È un quesito così utilizzato da essersi svuotato di ogni significato, è un rituale di incontro privo di contenuto. Nella maggior parte delle situazioni, chi pone la domanda non è realmente interessato alla risposta, ma la utilizza per sfuggire all'imbarazzo di un eventuale silenzio. Eppure in quelle due apparentemente scontate parole, è racchiuso un mondo: è contenuta tutta la giornata passata, la settimana, l'ultimo mese. Hanno il potere di riportare a galla le emozioni più vive del momento, quelle che friggono sulla superficie e che quasi mai corrispondono con il “tutto bene”. Perchè ammettiamolo, questa vita è una faticaccia. In un bel film dicono: quando sei su non

L'ingiustizia è sincera_

Come si affronta il sentimento di ingiustizia? Con quali strumenti si può andare oltre, sciogliere il grumo dell'ingiusto dentro di noi, senza inciampare in rabbia, vendetta, frustrazione? Se provo a descrivere la sensazione di un evento ingiusto, mi viene in mente un grosso macigno che precipita in mare, nell'oceano profondo che si trova nel nostro stomaco. Un tonfo che trascina con sé le forze, mette in crisi la messa a fuoco e disorienta. Nessuno schizzo, solo potenza trascinatrice verso il basso, nella quarta dimensione che le emozioni hanno dentro il nostro corpo. Gli effetti sono una nausea da assenza, come quando si sta troppe ore senza magiare. Il concetto di giustizia risale a tempi antichissimi e non ha mai avuto una definizione univoca e precisa. Si è sempre adattato alla storia in quanto nasce da un bisogno dell'uomo. È una legge della natura umana, è radicata in ognuno di noi ed esce quasi violentemente, come un istinto animale. Rispett

Inopportuna rivisitazione storica_

Uno delle tematiche principali che attraversa tutto il film Titanic (Jack for president!) è la differenza tra le classi sociali. Una lussuosa, esagerata e triste prima classe, contro una squallida e frizzante terza classe. I primi disonesti e con mancanze di virilità, i secondi (o terzi) onesti e sorridenti, sicuri del loro niente. Questa fiaba nella tragedia è ciò che dona al film quel tocco di magia che si cerca faticosamente nella vita reale e che sta così bene alla finzione. Ogni volta si finisce per versare lacrime, forse più per l'ottimismo che impregna la storia che non per il ghiacciolo Jack. Andando avanti con l'età si diventa più cinici ma anche sentimentali e si vedono significati sempre diversi, anche se il film è sempre lo stesso. Non ci si stanca mai perchè se la storia ti parla, ogni volta è capace di raccontare qualcosa di diverso. Questa volta, ad esempio, mi ha raccontato dei giovincelli (alle prese con i primi cedimenti fisici e non), che si

Bastone e carota. Riflessioni da Venti5 - 2.0

Fin dalle elementari veniamo sottoposti a torture insopportabili come i giochi matematici e le terribili olimpiadi dei bambini. In entrambi i casi si caricano i pargoli di aspettative sulle loro prestazioni e poi, messi in un sistema competitivo, falliscono miseramente. Non tutti, solo quelli che non vincono, che solitamente sono in numero maggiore. Si parte motivati, sicuri di sé e innocentemente fiduciosi del proprio successo, perchè il mondo a quei tempi è ancora un bel posto. Nello zainetto ci sono cappellino, borraccia, adrenalina e speranza: i primi due aspettano all'arrivo mentre gli ultimi due ce li portiamo dietro sulla linea di partenza. I ricordi si sprecano e dal segnale di partenza in poi si sommano la polvere, le gambe pesanti, il tempo infinito e tutti che volano in avanti mentre altri (io), vengono imprigionati da mille mani invisibili al terreno e restano al fondo. Lo specchio dei sogni finisce in mille frammenti luccicanti (come quello nella serie di Sai

Nosce te ipsum_

Legge cose in una sfera di cristallo. Non alza gli occhi, nessun contatto: è un essere bello e discreto che fornisce risposte alla vita: sembra di esistere davvero, visti e concreti nel mondo. Alla fine della seduta rimane tra le dita un sottile foglio con scritto “sapere ciò che si vuole”: una traccia nera che rinforza i contorni della persona a cui è indirizzata, come un disegno fatto con un grosso pennarello. Esiste qualcosa di più scontato della profezia dell'indovina? Eppure è qualcosa. È un appiglio in una tormenta di domande e insicurezze, è una sfera, un foglietto, una persona, un vestito, un cellulare, un lavoro. Cose che si accumulano per darsi dei confini, per definire la persona e la personalità. Non ci si percepisce come corpi in uno spazio, ma sagome vuote delimitate dall'esterno, un collage al contrario. “Sapere ciò che si vuole” come imposizione ad avere delle risposte piccole e precise alle domande che ci fanno e ci si fanno, e in assenza di risposte, s

Tre storie brevi_

In un mondo popolato di esserini di ogni forma e dimensione, sta sempre succedendo qualcosa. Storie diverse o raccontate mille volte, a ciclo continuo. I nostri occhi guarderanno le stesse cose e le vedranno, sempre e comunque, profondamente diverse. Anche se è già stato detto tutto, ci sono ancora infinite storie da raccontare, perchè l'ho deciso io. -Bravo bravissimo Ma come diavolo gli è venuto in mente? Insomma, chi è stato il primo ad avere questa idea? Una mattina di un secolo antico un tizio si è svegliato e ha deciso che la terra lo aveva stufato e quindi si è fatto un tuffetto in acqua, ha piantato due pali e ci ha costruito sopra la sua casa? E poi gli altri, vedendolo gongolare nella sua dimora, lo hanno seguito a ruota tirando su un'intera città? Lo trovo geniale ma non troppo logico. E poi l'acqua come la spostavano, con paletta e secchiello? Venezia è un luogo magico per il semplice fatto che esiste: è un esempio concreto del fatto che se l&

Persistente cocciuta illusione _

Io lo chiamo effetto carta moschicida, quella gialla e dolciastra. Il fenomeno si presenta quando un concetto svolazzante si avvicina ai nostri pensieri e vi rimane incollato in maniera dolorosa e fastidiosa. In queste occasioni si può agire in diversi modi, ma da buona animalista che non può liberarsi del foglio mieloso dentro la sua testa, procedo con una lenta analisi della preda per riuscire a staccarla senza danni e rimetterla in libertà, verso la prossima trappola. Durante questo processo il mondo intero sembra mandare segnali a riguardo, come a voler richiamare a sé il concetto rimasto intrappolato, mi parla solo più di lui (un po' come quando si iniziano a vedere in giro esclusivamente macchine uguali a quelle dell'ex). Questa settimana si è appiccicato l'ideale di comunità. Come un occhio di bue che si focalizza su una faccia qualunque tra il pubblico e la mette al centro della scena, solo per un po'. Tra le mani hanno iniziato a passarmi articoli su

Ancora sull'amore: esperimento xx _

Il frinire delle cicale si infila tra le liste inclinate delle imposte e raggiunge il cuscino fresco. Tra i primi veli del sonno mi godo il canto famigliare e impiego un attimo a rendermi conto che mi trovo nel centro di una metropoli. È la prima volta in vita mia in cui provo sulla pelle tutte quelle storie sul vivere le città in agosto, soprattutto se si tratta di posti come Milano, che quando si svuotano lo fanno sul serio (come tutto del resto). Tutte le serrande sono abbassate, se non fosse per i sempre aperti supermercati si rischierebbe la morte per fame e in giro si parla di tutto, tranne che l'italiano. Sui quattro palazzi del mio cortile sono l'unico appartamento con una luce accesa e questa calma è quasi claustrofobica, sicuramente un po' inquietante. In questa ambientazione alla Richard Matheson il canto delle cicale diventa un ticchettio, uno scandire, un contare non pecore, ma uomini (le battute si sprecano). Il fatto che un tale scenario evochi il

Cimeli di famiglia _

Eccola qui, riemerge dalla pulizia della scrivania. Con l'aura intonsa degli oggetti dimenticati: la lista delle cose da fare durante le ferie, diligentemente compilata durante i colpi di coda lavorativi, quando la mente è a metà tra lo stoicismo e il letargo. Quando, ancora soggetti ad una routine attiva, non ci si ricorda del potere fatale del divano. Prima di realizzare di avere davanti 335 ore e non giorni di ferie, un anno (circa) concentrato in due settimane, spese a rimodellare tutti i cuscini della casa secondo l'anatomia del proprio corpo. Ora, a diciassette ore dal ritorno in ufficio, mi trovo faccia a faccia con questo elenco ordinato a cui avevo affidato le speranze di vacanze produttive. Sembra quasi guardarmi con un misto di rassegnazione e di tristezza, per averlo sommerso e ignorato, oltre a non aver spuntato neanche una delle sue voci. Mi siedo pronta a sbobinare tutte le ragioni che mi hanno portata a non adempiere al mio dovere di vacanziera, a g

Ti volevo dire qualunque cosa tu abbia pensato_

Se dovessi ancora portare le giustifiche a scuola per i ritardi, la compilerei in questo modo: il soggetto ventenne post università non è in grado di gestire le prime “cose serie” che la vita gli mette davanti (lavoro-a singhiozzo se sei fortunato, soldi-un giorno arriveranno, puntualità-prima non mi serviva, responsabilità- xanax a garganella) e si trasforma in un essere arruffato, scostante e privo di qualunque rispetto delle scadenze. Come immagine userei quella di un bambinetto dalle cosce grassocce che barcolla a braccia tese verso la mamma e, momento di pura ilarità, finisce per schiantarsi faccia a terra a due centimetri dall'arrivo. Fine della premessa. C'è una storia che sto seguendo da tempo ma che fino ad oggi non ho mai raccontato, troppo gelosa per lasciarla andare. Durante l'ultima puntata però, la storia si è dimostrata così adulta e formata che sarebbe ingiusto continuare a tenerla nel taschino. Avete presente l'ordine? Quello mania

Protezione 50 _

Credo di essere arrivata al punto in cui voglio anzi devo, trovare un nuovo nome all'estate. Per me, studentessa fino a ieri, è sempre stato un gioioso momento dell'anno che iniziava con festivalbar e finiva con l'acquisto della smemo. Un susseguirsi di giorni profumati di pesche, cloro e salsedine. Di piante secche mediterranee che emanano una nota dolciastra portata dalle gocce di sangue cristallizzato, rubato ai polpacci degli esploratori di deserti. L'insalatiera (la tazza era da principianti) di latte e cerali al cioccolato davanti a ignoranti telefilm anni 90 e il pigiama come unico out fit della stagione. Ma soprattutto l'estate era senza sensi di colpa: era me-ri-ta-ta. Il confine tra dovere e piacere era chiaro, buoni voti, nessun debito, bacio accademico e ci rivediamo a settembre. Tutto questo e mille altri piccoli piaceri sono sempre stati racchiusi in una sola parola: estate, come il gelato alla panna dentro il magnum. Quindi oggi, a qu

Obnubilare _

Si dice che con la nascita delle carte geografiche non siamo più in grado di immaginare il mondo. Chi mi ha raccontato questo pensiero non ha voluto trascinarsi dietro la solita ombra funesta: niente catastrofismi, sfiducia nel mondo e perdita di immaginazione; nessun piagnisteo di gioventù o profezia apocalittica. Semplicemente un cambio di prospettiva: non trovi niente sulla terra? Guarda al cielo. Tutti gli stimoli che giungono da fuori li interiorizziamo e li trasformiamo. Un pensiero, per essere costruttivo, non può partire dalla volontà di riscatto, non può cioè partire da un conflitto. Se così fosse sarebbe un pensiero di rivalsa generato partendo dalla stessa idea avversaria che si tenta di distruggere, e si finisce con il portarla avanti rimanendoci impiastricciati dentro, anche se con volontà contraria. Inutile provare a spostare le isole per cambiare la geografia terrena, tanto vale alzare gli occhi e disegnare costellazioni nelle infinite possibilità del cielo

Use & Bye _

Ho sempre adorato le macchine fotografiche usa e getta della Kodak. Le compravo prima di andare in gita scolastica alle elementari con la raccomandazione di “non fare troppe foto che poi svilupparle costa un sacco”. Ovviamente finivo il rullino nei primi 10 minuti del viaggio in bus e poi scattavo a vuoto per il resto della giornata, girando forsennatamente la rotellina. Una volta a casa non dichiaravo la quantità di foto scattate (che poi nel rullino ce ne stavano 25), nascondevo la macchinetta e, visto che si portava a sviluppare solo una volta finito, non credo di aver mai visto i prodotti artistici delle mie istantanee di fanciulla. Di questa sequenza di elementi qualcosa mi deve essere rimasto addosso negli anni, come un trauma non elaborato che mi porto dietro, perché c'è un aspetto della mia vita che ricorda esattamente il funzionamento delle macchine fotografiche usa e getta. Quando si inizia ad aggirarsi intorno al quarto di secolo il carico di aspettative

12° sagittale - 16° laterale _

Essendo un po' più lenta del normale nel processare le cose, ci arrivo sempre dopo. La sensazione è la stessa di quando sulla giostra a catene si riesce finalmente ad acchiappare l'agognata coda sventolante, per poi scoprire che era l'ultimo giro e il parco chiude e tu resti lì, pennacchio alla mano e sorriso interrotto. Fatto sta che solo ora, dopo mesi che porto avanti questa specie di ricerca, mi sono resa conto che tutti, tranne i ventenni, parlano di cosa voglia dire avere vent'anni (o su di lì) al giorno d'oggi. Sfortunatamente non sono sufficientemente integrata “nel gruppo” per diventarne testimonial, rappresentante o capro espiatorio, quindi mi limito ad usare parole di ex giovincelli per spiegare un concetto che mi ha affascinato e che ho rubato origliando una conversazione tra ventenni reali (alla quale, ovviamente, non ero stata invitata). Nel 1931 un certo Paul ha distrutto ogni mia aspirazione iniziando un libro con la frase che avrei