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Risveglio_ (Cuore di Zucca)

Le palpebre si aprono poco, un po' incrostate un po' svogliate. Sanno che è presto e anche se la luce che filtra da fuori è grigia e ovattata, si sentono ferite.
Il peso del piumone caldo le conferisce quella sensazione di protezione che sa che fuori non troverà per tante ore. Non vuole emergere da questo acquario, gira la schiena al giorno consapevole dell'inutilità del gesto. Il senso del dovere.

La mano scivola al comodino e tira nella grotta il telefono, scorre le pagine assente, c'è un sogno incastrato nei capelli che magari riesce ancora a ricordare. Un lungo sospiro per spostare le coperte, acqua gelida per il viso, dentifricio schiacciato dalla cima, spazzolino sempre da cambiare ma sempre lo stesso. Poi la solita tragedia: è seduta davanti all'armadio spalancato e strabordante, con lo sguardo di chi ama le caramelle alla fragola e sono rimaste solo quelle al limone. Lì dentro non c'è mai niente di giusto per il nuovo giorno e deve partire con un accontentarsi. Scrolla le spalle alla sua immagine, almeno la colazione ha un sapore appagante. In fondo è il pasto senza sensi di colpa.

La casa è immersa nel silenzio del traffico mattutino dietro le finestre. Il caffè ha sempre un buon profumo, solo che porta anche i primi pensieri e le emozioni che devono venire. Deve aver messo troppo detersivo in lavastoviglie perchè un arcobaleno galleggia nella sua tazza.
Oggi non sa come fare, le gambe ondeggiano rigide dalla sedia, non sa come farcela. È una giornata come le altre, l'ennesima in cui la sequenza di cose si ripeterà in modo più o meno disordinato, ma comunque quello. Il freddo, le persone, il lavoro, il tempo che non avrà imparato a scorrere più velocemente perchè tanto non deve andare da nessuna parte, se non in una giornata uguale a questa.

Ad ogni mattonella del marciapiede si chiede perchè lo sta facendo, come fanno i piedi ad andare uno innanzi all'altro senza opporsi al portarla ovunque stia andando. Guarda il telefono nella speranza che qualcosa succeda, che ci sia qualcuno da chiamare ma anche in quel caso, forse non cambierebbe nulla. Pensava di mettere in piedi il suo castello e ora vaga in ampi spazi vuoti di cui non vorrebbe prendersi cura. Non vorrebbe nulla per poter lasciare tutto. Ecco cosa.

Nuvolette di fiato tra lei e le porte di vetro chiuse le nascondono un pochino il riflesso di cosa ha deciso di mettersi addosso alla fine. Qualcosa di sbagliato, ecco cosa. Un po' come tutto quello che ha scelto negli ultimi due anni, che poi forse le è solo successo. No, non è vero ci ha messo anima e corpo per arrivare davanti a quella porta che le restituisce adesso una lei appannata. Una porta che ha il diritto di attraversare perchè lì ci lavora, c'è la sua scrivania, la sua sedia, il suo capo. Il suo capo, chissà quale gamma di umori le riserverà oggi, vorrebbe non sentire la sua voce nella testa prima di andare a dormire, o il suo numero di telefono come uno dei “preferiti” in rubrica. In realtà oggi vorrebbe essere a casa, quella vera, dove si sente al sicuro con mamma e il prato fuori. E magari anche i suoi sedici anni e montagne di problemi golosi, da scartare uno per uno con gli amici e gli amori.
Qui, sola, adesso non si ricorda perchè lo sta facendo, quale battaglia stava combattendo quando ha iniziato tutto questo? Non ha mai creduto a chi le diceva che poi la vita si complica, lei ha ancora il sogno impigliato tra i capelli, vorrebbe solo che le cose andassero come dice lei. Ecco cosa.

L'ascensore le restituisce un'immagine al neon sbattuta come la chiara d'uovo, lo schermo del computer uno sguardo nero e spento, la macchinetta lascia rotolare con un tonfo il suo futuro da obesa.

Seduta alla scrivania si sente triste. Di una tristezza viscerale e profonda che forse dovrebbe portare lontano da lì. Si sta facendo andare bene la sua vita perchè ha deciso così ma no, non ci sta bene. Piccoli barlumi di gioia l'hanno raggiunta negli ultimi anni, ma nessuno l'ha mai posseduta.
Con il mento accucciato sul palmo della mano si chiede cosa farsene di questa tristezza, dove portarla. Lavorerà, continuerà a portare avanti le scelte che ha fatto e lo farà al meglio, credendoci fino allo sfinimento. Ma non si è mai capita, non si è mai lasciata andare davvero a se stessa.
Spulcia i voli low cost con il numero di chilometri più alto, annoiata e sognante, magari mollerà gli ormeggi. Si porta una storia dentro che ha troppa fame di uscire e che finirà per divorarsi tutto: solo lei è reale, tutto il resto della sua vita è finto e scalpita per uscire e raccontarsi.
Una volta ha visto l'acido corrodere una superficie e si ricorda le bollicine nervose scoppiettare portandosi via pezzi di materia. È la stessa cosa che sente adesso dentro, la sua storia la corrode ma se la lasciasse uscire distruggerebbe quello che ha costruito fino a lì.

Quando arriva l'inverno e c'è meno luce, restare in ufficio la sera diventa difficile, oggi ha deciso che uscirà prima, nello schermo nero lo stesso sguardo spento della mattina. Così non va.
Esce dal palazzo pensando al suo vicino di casa di quando era bambina, una piccola peste che veniva messa in castigo in un sotto scala buio che le mostrava con grande orgoglio. Lui superava le punizioni pianificando grandi vendette. Ora si droga molto ma è un ragazzo molto bello.
Lei non ha mai avuto bisogno di sotto scala bui, si punisce da sola costantemente, costringendosi nella sua vita di tutti i giorni, come a dimostrarsi che è un'illusa, che ha sogni irrealizzabili e si frustra con un lavoro che pensa sia il massimo a cui può aspirare. E in effetti tutti le dicono che è davvero un bel posto, che lei è brillante e si sta facendo da sola.
Ma loro che ne sanno. Lei si sta solo umiliando: sperava di mettere a tacere le voci che raccontano la storia facendo tutte le cose per bene. Si punisce per aver creduto che questa cosa “normale” potesse funzionare. E ora dovrà fare del male agli altri per sopravvivere: lei e con lei, la storia. Sottoporrà tutti all'abbandono e andrà via, non è fatta di questo e non è fatta per questo, e ora è uno strumento di dolore.

Il soffitto è solcato dalle gelide strisce blu della luce della città di notte. Le fissa al ritmo delle macchine che passano e saluta il suo amato sonno. È andato via anche lui, per quella notte sicuramente non tornerà e lei vede tutto, sente tutto.
Pensa alla sua vita e sente tra le mani la polvere del sogno che aveva nei capelli e che non le è mai appartenuto.

Deve diventare inafferrabile. Spera solo che il vento del nord inizi a soffiare presto.  

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