Questo posto è un insieme di cliché. La stanza, semibuia, sembra illuminata da una luce rotonda che a malapena delinea i bordi scheggiati dei mobili. L'aria è pesante, tanto da risultare immobile, proprio come il proprietario della baracca: una logora e mangiucchiata poltrona damascata troneggia verso il centro della stanza, ricoperta di velluto rosso spelacchiato ricorda, a tratti, il trono di un re, decisamente caduto in rovina. Ma il vero spettacolo è lui, l'occupante della poltrona: un immenso tripudio di traboccante grasso, pelle unta e gelatinosa, placidamente abbandonata sulla seduta. Camicia sbottonata, cravatta allentata, anche i colori, stanchi dell'apatia, paiono aver abbandonato le vesti. Il suo respiro è un rantolo che ricorda la teiera della nonna, le mani scadenti salsicce pelose e gli occhi sono piccoli punti neri dal riflesso opaco che si muovono lenti nella fioca luce, scivolando sugli oggetti ammucchiati casualmente, quasi a farne un costante ...
E ti rispondo che non posso rispondere, devi cercare da te. (Walt Whitman _ Foglie d'Erba)