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In questa storia non succede niente _

Questo posto è un insieme di cliché.
La stanza, semibuia, sembra illuminata da una luce rotonda che a malapena delinea i bordi scheggiati dei mobili.
L'aria è pesante, tanto da risultare immobile, proprio come il proprietario della baracca: una logora e mangiucchiata poltrona damascata troneggia verso il centro della stanza, ricoperta di velluto rosso spelacchiato ricorda, a tratti, il trono di un re, decisamente caduto in rovina.
Ma il vero spettacolo è lui, l'occupante della poltrona: un immenso tripudio di traboccante grasso, pelle unta e gelatinosa, placidamente abbandonata sulla seduta. Camicia sbottonata, cravatta allentata, anche i colori, stanchi dell'apatia, paiono aver abbandonato le vesti.
Il suo respiro è un rantolo che ricorda la teiera della nonna, le mani scadenti salsicce pelose e gli occhi sono piccoli punti neri dal riflesso opaco che si muovono lenti nella fioca luce, scivolando sugli oggetti ammucchiati casualmente, quasi a farne un costante inventario. Una volta quella massa informe ora stato il capo di tutto, mentre oggi le guance cadenti ricoperte di ispida barba, non si muovono neanche per emettere il suo nome. Tace, come tutti.

Nei bagliori di questa luce affaticata si specchia, in un angolo un poco scostata, la figlia di costui. Un tempo dea di bellezza, non è più in grado di distinguere il suo viso, il quale ha perso i lineamenti sotto gli strati di insicuro imbellettamento.
Appollaiata sulla specchiera con pampini arricciati e angeli incapaci di volare, cerca istericamente la risposta a quella decadenza, incapace di distinguere il reale dal riflesso: conversa con se stessa in modo sommesso e costante, e si stupisce di come le sue domande restino sempre senza risposta. L'unica cosa che le è stata insegnata consiste in come stendere il trucco sulla pelle e ad ogni innaturale silenzio, fa corrispondere uno strato di cipria stantia.
Bambina e vecchia, non ha neanche la forza di piangere. Abbandonata al suo egocentrico riflesso, si circonda di gingilli come fossero portatori di risposte e soluzioni. Ballerina dalle caviglie spezzate rende se stessa un riflesso e il riflesso una caricatura, in un mondo di tea bevuti con amici immaginari.

Lo spazio appare pervaso dalla tensione che scaturisce da una ristata isterica e prolungata, tutto è ricco di ricordi, di un passato che ha impregnato ogni minima superficie e oggetto, fino a renderli pesanti, sporchi e inutilizzabili. Il pendolo si trascina a fatica, incurante dello scorrere del tempo e il pulviscolo nell'aria non se la sente di danzare tra i raggi della luce, preferisce rotolare tra i rantoli del fiato del capo in poltrona.
Alle pareti vecchi poster scollati, si accasciano su se stessi, portatori del frizzante passato del circo non sono altro che spilli di dolore in quanto segno di ciò che è stato, e che in questo momento non è più.

Ma il grande umiliato è l'ultimo attaccato: il poster dello spettacolo futuro con sopra scritto “annullato”.

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