Legge cose in una sfera di cristallo.
Non alza gli occhi, nessun contatto: è un essere bello e discreto
che fornisce risposte alla vita: sembra di esistere davvero, visti e
concreti nel mondo. Alla fine della seduta rimane tra le dita un
sottile foglio con scritto “sapere ciò che si vuole”: una
traccia nera che rinforza i contorni della persona a cui è
indirizzata, come un disegno fatto con un grosso pennarello.
Esiste qualcosa di più scontato della
profezia dell'indovina? Eppure è qualcosa. È un appiglio in una
tormenta di domande e insicurezze, è una sfera, un foglietto, una
persona, un vestito, un cellulare, un lavoro. Cose che si accumulano
per darsi dei confini, per definire la persona e la personalità. Non
ci si percepisce come corpi in uno spazio, ma sagome vuote delimitate
dall'esterno, un collage al contrario.
“Sapere ciò che si vuole” come
imposizione ad avere delle risposte piccole e precise alle domande
che ci fanno e ci si fanno, e in assenza di risposte, si scatena il
panico.
All'interno di questa sensazione di
costante inadeguatezza vengono a galla brevi bolle di lucidità che
gente varia, come il disagiatissimo Dante, hanno trascritto nero su
bianco. Piccole riflessioni, constatazioni sulla loro vita fino a
quel momento. C'è chi lo fa a trentacinque e chi una decina d'anni
prima, ma la sostanza del capolavoro non cambia.
Nel punto della situazione di questa
vita si è insinuato un dubbio: forse la profezia dell'indovina è il
contrario di ciò che sembra. Non è una spinta verso la concretezza
ma un invito alla creazione. Ragioniamo su noi stessi come se fossimo
dei piccoli universi, con un centro caldo ma granuloso che si
irradia, sfumando fino a fondersi con il resto. Questa tipologia di
autoritratto apre le porte a nuovi approcci: ad ogni domanda posta
possiamo fornire anche dieci risposte diverse, senza identificarsi
con una mansione specifica ma scegliendo un modo di vivere,
decisamente di più ampio respiro. Smettere di viaggiare nel tempo ma
farlo con il tempo, guardando alla tradizione (passato) senza
limitare l'immaginazione (futuro).
Per la parte più corporea
dell'esistenza bisogna rivalutare il ruolo degli organi. L'intestino
è in realtà il cervello: è intricato come quello alto, ma di
proporzioni gigantesche, anzi chilometriche. Dentro ci vivono i vermi
e le farfalle, colonie di batteri e fiumi di acidi, gli istinti e la
memoria.
Quello che chiamiamo cuore è in realtà
il fegato: il primo è solo una pompa, mentre il secondo è il filtro
del sangue, nel bene e nel male. Il fegato è pesante, scuro, vitale,
si dice che è con il fegato che amiamo perchè “col cuore si
investe tutto su un'altra persona. Col fegato si investe su se stessi
e se non si ama se stessi, come si può amare un altro?” (Anita
Nair, L'alfabeto delle spezie).
L'esistenza è una tranquilla
catastrofe senza lieto fine perchè, ad un certo punto, il
protagonista della storia muore, sempre. Una volta accettato questo
si ha carta bianca su quasi tutto il resto e le domande possono avere
risposte alquanto arbitrarie. Non è semplice ma ogni tanto qualcuno
propone di farlo sorridendo e pare che il risultato sia migliore.
Fino a qui abbiamo liberamente
scorrazzato nel cronotopo ma, una volta dettato l'ordine di priorità
delle cose e scelto un paio di risposte da dare, inizia la parte più
divertente: fare.
Tutti gli elementi formano il nucleo,
il centro di gravità che permette di scandire il tempo e con esso i
progetti. Questa parte fa paura e si può manifestare sotto forma di
adolescenza tardiva, crisi di panico e depressione. Al giorno d'oggi
si chiama Venticinque Anni, ma nella storia ha cambiato diversi nomi
e varia molto da soggetto a soggetto (c'è addirittura chi non la
attraversa mai, ma sono i più sfortunati). A riguardo ci sono fior
fior di articoli che leggendoli fanno annuire il capo e sorridere,
perchè è più bello sentirsi degli sfigati tutti insieme.
La fase in questione non è facile,
bisogna impegnarsi molto ma senza giudicarsi troppo; si deve fallire
innumerevoli volte e rendersi ridicole altrettante, senza creare un
finale carico di aspettative (che sono il demonio).
Come in questo caso, che non so davvero
come chiudere la faccenda e quindi “fine”, punto.
Tanto una risposta alle vostre domande
non ce l'ho.
(Scherzo, prima o poi scrivo il
seguito)
Commenti
Posta un commento