Alzare la mano per fare una domanda è
una forma di rispetto verso chi, presumibilmente, ha la risposta. Un
po' scolastico come metodo, detta una delle prime gerarchie della
vita, quella verso la conoscenza. Se ci figuriamo il sapere come una
lunga scala, ogni quesito che ci poniamo e a cui troviamo una
risposta, è un gradino salito e alzare la mano è tendere tutto se
stessi verso quella meta.
Questi tipi di figurazioni sono solo
dei sotterfugi per comprendere i concetti altrimenti astratti: la
scala e l'ascesa sono figli di un retaggio culturale ancorato dentro
di noi (Dio e compagnia bella). Una volta consapevoli di questo,
possiamo tranquillamente continuare ad usarli perchè l'importante in
questi processi conoscitivi è capire, indipendentemente dalla strada
utilizzata. Se si intraprende la direzione della semplicità,
sicuramente si avranno maggiori possibilità di successo.
La prima cosa che un buon professore
insegna quando si inizia a scrivere una tesi di laurea, è di
scegliere il concetto più piccolo e vicino a noi come punto di
partenza, per poi svilupparlo come la corolla di un fiore. Il sapere
è una cosa complessa ma il processo per arrivarci è una cosa
semplice, fatta di tasselli che aggiungiamo arbitrariamente e fare
domande è uno strumento fondamentale.
Ancora una volta qualcosa si è
inceppato perché sfido chiunque a sentirsi a proprio agio ad alzare
la mano o porre tranquillamente qualunque tipo di quesito. Una cosa
stupenda della lingua italiana parlata sta nella differente
inflessione della voce che produce una domanda, ogni singola frase
può diventare interrogativa, come se non avessimo previsto limiti di
nessun tipo alla possibilità di conoscenza.
Eppure chiedere anche solo indicazioni
stradali è diventata una questione imbarazzante e non necessaria,
abbiamo strumenti che forniscono risposte sempre vere, tant'è che la
signorina nel navigatore è la persona che ha ricevuto più minacce
di morte nella storia dell'umanità.
La domanda mette a disagio sia chi la
pone, che si sente in difetto e umiliato, sia chi la riceve, che si
carica di aspettative e ansie. Inutile dire quanto questo sia
sintomatico di una mancanza di pensiero personale, cercare le proprie
risposte e non quelle “vere” che vengono puntualmente smentite.
In tutto questo panegirico in realtà
c'è scritta un'altra cosa, decisamente semplice e quindi bella. A
quanto pare si passa la maggior parte della vita a cercare di essere
qualcosa, per poi scoprire che bastava essere se stessi. È lo stesso
meccanismo del porre domande, sta cadendo in disuso perché chiedere
vuol dire aver bisogno degli altri e solo gli sciocchi si espongono
ad un tale massacro.
Voglio spiegare meglio di cosa sto
cercando di parlare: se dovessi fare una lista delle cose che ti
fanno sorridere dentro durante la giornata, che cosa scriveresti?
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