Essere bassi vuol dire vivere guardando in alto. Si conosce
meglio il cielo e le finestre nascoste, le calvizie della gente e l’altezza del loro ombelico. Quando qualcuno ti chiama d’istinto punti lo sguardo in una zona indefinita intorno al metro e settantacinque, in media è lì che è posizionata
la faccia di chi non è basso.
“Mi scusi..” mi giro con l’angolazione descritta e niente.
“Scusi?” e un calcio viene sferrato al mio cesto della spesa, spingendolo in
avanti. In questi casi sento comparire sulla mia fronte la famosa croce di vene
pulsanti alla Vegeta: pronta a sferrare un attacco mortale contro l’inumanità
della gente che si avventa sulla spesa altrui, volteggio il capo di 180 gradi e,
blocco.
Quando un basso incontra un ancora-più-basso si sprigionano
sentimenti di comprensione, e il nocciolo di cattiveria della gente piccola si
scioglie verso quel qualcuno che fatica ancora più di loro a sopravvivere in
questa giungla. Se al cameratismo da bassotti aggiungete un ottantacinque anni
di vecchina senza dentiera, allora avete perso ogni arma di difesa.
Al secondo o terzo “scusi” che mi rifila riesco a metterla a
fuoco e vedo che sorride (credo), dicendo che ha dato un calcio al cesto della
spesa perché ingombrava il passaggio (non è vero ma va bene, è così piccina!).
Sorrido. Temporeggio.
“Scusi?” questa volta so già di dover abbassare
l’angolazione dello sguardo di circa trenta gradi.
“Si?” rispondo temendo un’abbottonata non richiesta e una
richiesta di passare davanti non declinabile (è così piccina!).
“Lei ha la tessera?” (scampata) “No” (e non aggiungo che i
supermercati la usano solo per controllare quello che compri e ti schedano che
neanche l’fbi e il sistema di sconti sui prodotti è una manipolazione di
mercato che vincola ogni tua decisione).
Il mio cesto, quello preso a calci in
precedenza, è abbastanza pienotto. La vecchina ha tra le mani solo un pacco di
biscotti e una bottiglia d’olio. Alza gli occhi e fa un sorrisone (o almeno
credo: se si è senza denti/dentiera, continua a chiamarsi sorriso?), abbassa la
voce e sussurra: “Se ti do la mia tessera, la passi con la tua spesa? Sai, per
i punti. Poi me la ridai senza farti vedere, che se no ci sgridano, e io la ripasso
con la mia.”
Il verso del pesce palla mi esce un paio di volte dalla
bocca, ma negli occhi di lei vedo le stesse fiamme di Mila quando sta per fare
uno schiacciata: impossibile resistere, si può solo andare a punto.
Abbasso una mano e sento che mi infila la tessera tra le
dita.
È il mio turno e una goccia di sudore mi scende sulla tempia:
porgo la tessera, il cassiere la passa sul laser e Bip. Mentre la riprendo
sorrido languida, sperando di offuscare con i modi da gatta il gesto di
passaggio alla vecchia. Abbasso il braccio e trovo subito la sua mano ad
aspettarmi che, da vera esperta, si è fatta vicina e pronta.
Un attimo di ansia rischia di compromettere tutta
l’operazione: mentre imbusto lei mi si avvicina sorniona e mi porge dei buoni
sconto suggerendomi, ad alta voce, di usarli.
(Qui bisogna precisare che dei buoni ne possono usufruire
solo i detentori delle tessere. Non avendone mai avuta nessuna per cercare di
scampare al complotto dei supermercati, non ho idea di come si usino i suddetti
buoni).
Ancora una volta sorrido (che arma di difesa pazzesca) e li
caccio in borsa tra yogurt e minestra. Grave errore. Il cassiere alza lo
sguardo (perché è seduto, non perché è basso) e mi pianta gli occhi in faccia: “Perché
non usa i buoni che le ha dato la signora?”, mi sembra che mezzo supermercato
stia aspettando la mia risposta. Una gocciolina scorre lungo la spina dorsale e
tuffo le mani nelle borse alla ricerca dei foglietti stampati. Tento la solita
scusa da donna: “Scusate, ero sovrappensiero”. Con gli occhi inseguo quelli della vecchia che
tranquilla mi evita, ha compiuto il suo misfatto e ora mi lascia in balia delle
conseguenze, della prigione, della morte.
Alla fine riesco a scamparla e mentre mi avvio turbata verso
l’uscita, un ombelico mi centra in piena faccia: “Scusi” dice, “non l’avevo
vista”. Appunto.
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