Guardo l'armadio davanti a me. La cosa
che mi piace di più di questa stanza è la luce, il modo delicato
con cui si posa sulle cose. È calda anche se ha le sfumature verdi
della tenda e sulle ante dell'armadio sembra scivolare come meringa
montata.
In effetti credo di avere fame. Girando
gli occhi scorgo bagliori che mi ricordano i cristalli di zucchero,
quelli che scoppiettano sulla lingua e fanno sbavare come bulldog.
Muovo un poco le dita, il fresco del
lenzuolo si infila tra i solchi dei polpastrelli e penso all'anguria
e all'acqua e menta. Il cerchio dei pensieri si è chiuso, il verde
della menta mi ha riportato dentro il colore della stanza, il letto,
l'armadio.
L'idea di dover iniziare un nuovo
pensiero mi stanca, sento la spossatezza farsi largo: dove pensavo ci
fosse il fondo è andata oltre. Credo che la quarta dimensione si
trovi dentro di me, se si sapesse in giro non ci sarebbe bisogno di
studiare i buchi neri nello spazio, basterebbe aprirmi come un
cocomero (ecco che torna il cibo).
Ci troverebbero il labirinto con il suo
minotauro e non basterebbero tutti i gomitoli rossi del mondo per
ritrovare l'uscita: al primo svincolo si è già perduti. Non sono un
pericolo, di questo strapiombo interiore non sa nessuno e non sarò
certo io a renderlo pubblico.
Lascio che le tarme e le talpe vi
affondino i canali, scavano con le unghiette animali con movimenti
lenti e mi sembra di vedere la mia anima seguirle. Io non so cosa
fare.
Guardo il verde nell'aria, è bello
davvero e sembra tranquillo, fuori il mondo è facile, è dentro che
è un gran casino.
La fame torna prepotente, mi piace
sentirla perchè fa il movimento contrario: dal fondo risale le
pareti e mi urla addosso, bisognosa. Vorrei darle quello che chiede
ma non so più se è il materasso a tenermi qui o se sono io, ma
anche se lo sapessi non riuscirei a muovermi.
Faccio scorrere le dita, questo lo
posso gestire. Sono abbastanza sicura di avere dei lacci di cuoio
stretti attorno, non riesco a vederli dalla mia posizione ma li sento
premere sulla carne, respiro appena.
Cerco nella memoria tutti gli
insegnamenti che ho ricevuto, da qualche parte devo avere gli
strumenti per uscire. Una cassetta degli attrezzi rossa o verde di
cui ho curato il contenuto inconsciamente, solo vivendo lentamente.
Le ore sui banchi di scuola con il polline fuori e la polvere dentro,
l'università con il singhiozzo e l'amore con il gelato. Parole
ascoltate distrattamente e tutta la pelle lasciata su qualche asfalto
nero. L'unica moneta di scambio è il tempo e ogni volta che
alleggerivo il mio portafogli spendendolo, devo aver ricevuto
qualcosa in cambio. Solo che adesso non ricordo dove l'ho messo.
Le cinghie sul collo e sullo stomaco
sono le più strette, premono fino alle vertebre che diventano
punzoni nel materasso. Mi sento la principessa sul pisello, sdraiata
su un dolore che non si può comunicare o vedere.
La luce nella stanza sta cambiando, ora
il verde ricorda un prato di rugiada, vuol dire che sto spendendo
tempo e ancora non so cosa ne ricevo in cambio. Mi sento derubata.
O solo smemorata perchè non ricordo
dove metto le cose, la cassetta degli attrezzi per sciogliere le
cinghie, tipo. Potrei chiedere aiuto, forse la voce la sentirebbero
anche da fuori il labirinto. Devo solo trovare il coraggio: fare una
pallina dentro, all'altezza della pressione sullo stomaco e farla
rotolare lungo le pareti, fino alla gola, fino a fuori. Aiuto, sono
qui.
La luce è cambiata ancora, adesso mi
sento in fondo al mare. Sono stanca ma non ho paura, ho sempre fame
ma tanto non so nemmeno cucinare. Tra i vari strumenti che non trovo
sono sicura che mestolo e coltello non ci sono, inutile rovistare.
Per oggi va bene così, ho imparato
abbastanza, mi dispiace solo che le lenzuola sotto le dita non sono
più fresche, la mia vita le ha scaldate e il tepore sarà il
compagno del mio sonno.
Il nero della stanza è scalfito da
bagliori smeraldo: oggi ho pagato la speranza di star bene domani.
Scioglietevi cinghie come cioccolato sul fuoco.
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