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Ritorno da me _ (caleido 11) _ End.

C'è una bambina, è seduta a terra con le gambe incrociate e non le vedo il volto, è girata e mi porge la schiena. Una zazzera di capelli chiari le accompagna il collo e una tunica chiara l'avvolge, assorbendo ogni cosa del suo corpo.
Penso che sappia che la sto osservando ma non si cura di farmelo capire, io sono arrivata fino a qui e lei non si gira nemmeno: arricciata nell'unico fascio di luce di quel luogo, contempla l'orizzonte nero e mi sembra di poter sentire il suo sguardo scorrere su forme che io non riesco a vedere.

Mi giro per capire se posso tornare indietro ma la strada da cui sono venuta non ha lasciato traccia, mi sono fermata solo perchè ho visto la bambina seduta e ora mi rendo conto che non ho ancora messo a fuoco dove mi trovo. E' un posto senza pareti né confini, un cono che non ha imboccatura, tutto intorno un cielo di velluto nero ci avvolge e il suolo è pietra nera, liscia e lucida. Un solo raggio di luce scende dall'alto, attraversa l'aria e si posa su di lei in un cerchio dorato. Il bagliore è netto, non si diffonde nell'ambiente circostante ma rimane vincolato alla sua traiettoria, una lancia splendente scagliata da altrove.

Non so bene cosa devo fare, continuo a spostare il peso da un piede all'altro confusa e indecisa.
Mi sembra che le spalle della bimba abbiamo un piccolo singhiozzo, forse è sconsolata e magari una storia la può far stare meglio. Non ho nulla con me se non la strada che ho percorso per arrivare fin lì e decido che di quello le voglio parlare.
Mi infilo le mani intasca e immagino di danzare: ogni parola è un passo e ovunque questo sfiori fa comparire dei dettagli, un sentiero, un cielo, un fiore. Il paesaggio inizia a costruirsi e chiamo le mie marionette, per raccontarle di noi. Lego le parole a fili d'argento e l'aria si riempie di sottili bagliori; so che mi sta ascoltando attentamente anche se non si è ancora mossa dal suo cerchio di luce.

Parto da lontano, le racconto della mia terra incantata attaccata dai predoni, della costruzione della fortezza e dell'arrivo della paura. La solletico con gli intrighi di corte, le sfide, i duelli e le cavalcate notturne. Le continue fughe a cui mi sottoponevo, i duri allenamenti dello spirito che mi procuravano ferite profonde e la dolcezza delle anime antiche che si sono accostate alla mia. Della mia amicizia con la Luna, di come insieme facciamo le capriole nel mondo delle emozioni e di come cicli e oscillazioni sono i movimenti dell'universo.
Faccio una pausa per riprendere fiato e mi sembra quasi di poter leggere lo sforzo delle orecchie della bambina per non perdersi una parola. Sullo sfondo nero intorno a noi si è creato uno spettacolo di forme e colori che fluttuano dolci, pronti a dissolversi con il mio respiro, ma prima che se ne vadano riprendo a raccontare: sono decisa anche se fa male.

Cerco la mia vera voce chiara e profonda. Le parlo delle anfore della fortezza, dalla forma morbida, la superficie di terra cotta e del loro liquido splendente e vitale che scorre senza sosta: un fiotto continuo esce da una dolce bocca posta in basso.
Io, custode delle anfore, non sono stata attenta, caparbia e debole allo stesso tempo, ho tappato la grande apertura in alto che accoglieva il flusso e ora le giare sono quasi secche. Si stanno crepando nell'aridità del loro contenuto.

Ecco perchè sono arrivata fin qui da te, piccola bambina.
Tutta la mia fortezza, tutto il mio mondo è in preda al panico per la sete, le gole bruciano come sabbia nel deserto e tutti urlano il loro bisogno generando il caos.
Sono stata io a rinchiuderti in questa prigione di velluto nero, ma ora ho attraversato il buio carica di tutti i doni che l'universo mi ha fatto per farteli avere, con la sola speranza che tu possa accettare la paura che ho di te.
Stiamo impazzendo per l'arsura della sete e solo tu hai la forza di distruggere quello che abbiamo costruito: unica Regina di questo trono.

Ho finito. 
Mi rendo conto di essere sulle ginocchia, non so in che punto del racconto abbiano ceduto. Ho il capo chino, pronta a farmi decapitare.
Aspetto in silenzio senza ricordare come si fa a respirare.

La prima cosa che metto a fuoco tra le lacrime, sono due piedini minuscoli. Il bordo della tunica chiara le sfiora le caviglie e quando si accuccia davanti a me la ingloba come un guscio.
Alzo la testa lentamente temendo che ogni gesto possa farla scappare o sparire.

Incontro il suo viso rotondo, mi sorride.   

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