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Avere 20anni e poco più _

È da un sacco di tempo che progetto questo pezzo, per la precisione da quando vent'anni li avevo sul serio. Tra lassismo e insicurezze ho sempre rimandato, fino a ieri sera quando, sorseggiando la prima birra dopo un mese (che sofferenza!) mi è calata l'ispirazione (ennesimo punto a favore dell'alcool).
"Avere 20anni" consiste in una serie di articoli che attingono ai drammi di questa mia disgraziata generazione e si propongono di accompagnarli nel frustrante e faticoso cammino che si apre sulla soglia dei venti, una sorta di libretto di istruzioni per continuare a fare gli stessi errori ma consapevoli di essere in buona compagnia. Per non smentire le aspettative su una gioventù inconcludente, non ho mai portato a termine nè pubblicato il progetto.
Poco importa perché oggi, a quattro anni e rotti di distanza, mi ritrovo a confermare quel detto che se tanto le cose non le vivi sulla pelle non le impari etc etc, quindi ho deciso di scrivere direttamente la conclusione della storia, senza "passare dal Via".
Eccomi dunque in questo presente lontano, in cui il sole di alta montagna mi ha bruciato i piedi e il naso e dove mangio patate per tre pasti al giorno (sono arrivata al punto in cui il sapore dei cibi nostrani ha abbandonato la mia memoria). Passo le mie giornate tra lezioni di yoga, workshop di cucina (non avete idea di quanti modi si sono inventati per cucinare le patate), sessioni di ricamo (faccio pena), meditazione e danze indiane (che eviterò accuratamente di mostrare ad un pubblico conosciuto).
Ma più di tutto, su queste vette silenziose, porto avanti la mia decisione di provare a scrivere sul serio. Mi concedo faticose ore di lavoro che si traducono in una lotta continua con il mio cervello per riuscire a mettere nero su bianco quello che prima lasciavo chiuso nei fortini della fantasia e durante le quali cerco di impedirmi di sbattere la testa contro il muro per vedere se dentro c'è qualcosa (nella testa intendo, non nel muro. Questo sono sicura essere pieno di mattoni e cemento, sull'altra inizio a covare seri dubbi).
Materia grigia o meno, mi sto dando l'opportunità di non avere paura, stimolata dal coraggio degli artisti che condividono con me questa residenza indiana e che si prendono la responsabilità dei loro pensieri e delle loro emozioni, traducendoli in forme concrete ed elaborate.
Un anno fa ho deciso che avrei provato a fare della scrittura la mia voce sincera e adesso sto rispettando questo patto con me stessa e, nonostante il risultato e le incertezze, ogni tanto mi concedo qualche pacca sulla spalla in segno di approvazione.
Scrivo di questa terra che è la mia seconda casa e per il momento mi basta.

Il ritorno (ahimè) si avvicina, ho fatto l'ultimo giro di boa e ormai è questione di poche bracciate. Io, inutile dirlo, non sono pronta. Per cosa? Appunto, non lo so.
Dicono che il vuoto permette di creare qualunque cosa, ma quando la scelta è troppo vasta si riduce tutto a un nulla.
Ho un piano per questo mio futuro? Certo.
Realizzabile? Non ne sono sicura.
Ripeto ai miei ventiquattro anni che sono fiera di quello che sto facendo e di come goffamente arranco. Me lo dico soprattutto in quei momenti, sempre più frequenti, in cui vacillo e sposto il peso da un piede all'altro insicura sull'equilibrio e sul da farsi.
Il guerriero dei mulini dice:
"sono stato anche io un realista
ma io oggi me ne frego e anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non mi inganna.
Preferisco le sorprese di quest'anima tiranna,
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai li davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti".
Fino a quando qualcuno non mi spiega cosa vuol dire "reale", io non mi sentirò in difetto per credere nella fantasia e forse non cambierò idea neanche dopo la migliore delle argomentazioni.
  

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