Io lo chiamo effetto carta moschicida,
quella gialla e dolciastra. Il fenomeno si presenta quando un
concetto svolazzante si avvicina ai nostri pensieri e vi rimane
incollato in maniera dolorosa e fastidiosa. In queste occasioni si può
agire in diversi modi, ma da buona animalista che non può liberarsi
del foglio mieloso dentro la sua testa, procedo con una lenta analisi
della preda per riuscire a staccarla senza danni e rimetterla in
libertà, verso la prossima trappola.
Durante questo processo il mondo intero
sembra mandare segnali a riguardo, come a voler richiamare a sé il
concetto rimasto intrappolato, mi parla solo più di lui (un po' come
quando si iniziano a vedere in giro esclusivamente macchine uguali a
quelle dell'ex).
Questa settimana si è appiccicato
l'ideale di comunità. Come un occhio di bue che si focalizza su una
faccia qualunque tra il pubblico e la mette al centro della scena,
solo per un po'. Tra le mani hanno iniziato a passarmi articoli su
manicomi, la Scuola di Francoforte, la Bohème parigina, parchi degli
orrori, l'India, tutti esempi di agglomerati umani dai sorprendenti
risultati.
Tutti spunti che mi parlano di
comunità, che la descrivono in alcune delle sue forme più
funzionali e sorprendenti. Ma queste nozioni ancora non bastano a
liberare il concetto dalla carta moschicida, non basta rifarsi al
passato, sentirsi ripetere che nella società attuale viviamo sempre
più isolati, spinti ad una soffocante solitudine travestita da
indipendenza. Siamo sterili sotto ogni punto di vista e manchiamo di
comunicazione, fulcro vitale di ogni tipo di comunità. I pensieri
brulicano e si evolvono nel confronto, la società evolve e supera se
stessa per mezzo dell'osservazione e dell'interazione, non nella luce
fredda di uno schermo di computer.
Questo lo sappiamo tutti e ognuno ci
sta facendo i conti, dal caffè alla camomilla.
L'universo, vedendo la mia
insoddisfazione difronte a queste risposte, ha deciso di mandarmi un
ultimo e decisivo segnale. La mosca ha smesso di ronzare
fastidiosamente grazie alla fisica.
Odiata, amata, difficile e controversa,
la fisica è pura filosofia di vita (per un'ignorate come me che si
può gettare solo sulle interpretazioni personali di tali argomenti).
Ogni cosa esiste (se davvero esiste)
solo grazie all'interazione, alla danza continua delle parti. Una
particella isolata non ha valore, singolarmente non significa nulla,
mentre nell'insieme diventa fondamentale. Sapere che anche per una
scienza così elevata quale la fisica, le parti più infinitesimali
dell'universo interagiscono secondo meccanismi relazionali, genera un
senso di benessere. Come il calore leggero della soddisfazione.
L'equilibrio non è generato da
staticità ma da un costante movimento: avvicinarsi, scontrarsi,
allontanarsi. A stare troppo vicini ci si comprime e per reazione, si
genera repulsione; si prendono le distanze, ci si muove e si generano
nuove situazioni. La via da percorrere è il caso e il bagaglio è il
calore. Quest'ultimo infatti è il vero padrone del tempo, grazie ad
esso si stabilisce la condizione di passato e futuro: “il fenomeno
fondamentale che distingue il futuro dal passato è il fatto che il
calore va dalle cose più calde alle cose più fredde”(Carlo
Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, pg.59).
Il calore è il cambiamento.
Il calore è il cambiamento.
Ora, sulla falsa riga dei parallelismi
tra fisica e comunità potrei andare avanti all'infinito, anche
perché non c'è limite alle interpretazioni. Il punto della
questione, adesso che ho staccato la mosca dalla carta, è che fare
comunella è una cosa bella e attraverso lo scambio continuo si
genera innovazione e si vive meglio.
Quindi, giustamente, io faccio tutte
queste riflessioni sola, chiusa in una stanza sommersa da libri e al
lume di un freddo schermo digitale.
Credo che la carta moschicida abbia
appena catturato la parola coerenza.
Commenti
Posta un commento