Ho
avuto un classico esempio di Conversazione Rarefatta: intesa come
tale perché avviene assai di rado ma anche perché si sfuma nella
notte e nel tempo diluita in bicchieri di birra e/o vino (pessima
combinazione dai grandi e devastanti risultati).
È
avvenuto in una di quelle tipiche sere qualunque, dalle quali non ti
aspetti niente di speciale e che finisci con il ricostruire solo il
giorno dopo, tra un caffè e un moment, recuperando fazzoletti
stropicciati che riportano stralci di conversazione, appuntati in
dimenticati momenti di lucidità.
Due
frasi sono riuscita a riesumare e che, oltre a provenire da una mente
che stimo molto (non la mia), sono impastate della classica verità
alcolica.
"Sono
nata nel posto giusto ma con la gente sbagliata".
L'effetto
è quello di una bomba in un bicchiere d'acqua, eppure va
contestualizzata perché non è un attacco alle persone che ci
circondano, ma è una dichiarazione di inadeguatezza. Raramente siamo
così altruisti da vedere negli altri il problema, i nostri pensieri
sono autoreferenziali e di conseguenza lo sono anche gli insulti.
Soprattutto in questa dannata mangica età, in questa fase di mezzo
dove si corre all'impazzata in un bosco nero e cattivo, con il solo
aiuto di un mozzicone di candela, alla ricerca dei confini del
proprio sé.
L'inadeguatezza
degli altri, questa "gente sbagliata" che sbuca come
funghi, altro non è che lo specchio delle nostre insicurezze. Sono
brutti e noiosi perché noi stessi temiamo di esserlo, ci conosciamo
così poco che ogni parola dei nostri genitori è un affronto alla
nostra autostima. Come quando da piccoli ci strappavano i fogli del
quaderno urlandoci di rifare i compiti da capo (perché lo facevano
anche le vostre mamme, vero?).
Siamo
cumuli di paure inespresse che si prendono gioco di noi, tirano in
ogni direzione facendoci credere di dover mettere chilometri tra noi
e il resto del mondo. Sembra che qui tutti ti respirino l'aria via
dai polmoni e allora l'unica soluzione è andare a cercarla altrove.
In città grandi con più possibilità, in posti esotici con
orizzonti sconfinati, ovunque tranne che dove sei.
Ed
è a questo punto che si fa strada la seconda frase "vorrei una
vita vera che non fosse rarefatta dallo star lontano".
In
modi diversi siamo tutti legati al posto in cui nasciamo e cresciamo.
Possiamo negarlo in questo mondo in continuo movimento, ma dai nostri
piedi spuntano lunghe e pesanti radici che possono portarci ovunque,
senza mai lasciarci andare.
Il
posto da dove vengo io ha tutti i difetti della perfezione. È così
piccolo da risultare adorabile, è così ricco che ogni giorno è più
bello del precedente, è così sicuro che non succede mai niente. È
esasperante perché è impeccabile.
L'impulso
masochista dei vent'anni fa venir voglia di correre lontano da tutto
quello che siamo stati e che adesso sembra non appartenerci più.
Posti, genitori, amici, tutto genera prurito e noi siamo tristi,
tristi, tristi e soli.
Sempre
a correre come degli scemi nel bosco buio e in più accecati dalle
ansie e soffocati dalle aspettative. Che la Selva di Dante è roba da
poppanti.
Solo
a scrivere queste cose mi è sceso un peso sul petto. Facciamo un bel
respiro e traiamo delle conclusioni (vi avverto che saranno rose e
fiori perché sono pacchiana e scontata).
Credo
che l'unico rimprovero che possiamo davvero fare ai nostri genitori
sia quello di non averci insegnato abbastanza bene che le bugie non
si devo dire, soprattutto a noi stessi.
Questo
scenario funesto di vita e questi brandelli di anima sparsi per il
mondo ce li stiamo infliggendo da soli. Non ammettiamo quello che
siamo e facciamo ostruzionismo ai nostri stessi sogni.
Ad
esempio anche l'alcol ha uno spirito, ma se si lascia la bottiglia
aperta troppo a lungo e non la si finisce, evapora. Sparisce e si
perde ogni suo beneficio (vedi tutta questa serie di ragionamenti).
Bhe,
pensateci bene prima di non finire un alcolico.
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