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Io sono Tetris _

Il 6 giugno 1984 un cervellone russo dal nome impronunciabile e simile a qualcosa come Alessio Leonida Pazino, ha dato alla luce uno dei giochi più frustranti nella storia dei videogiochi: tetris.
Nel giro di pochi anni quelle combinazioni di quattro quadratini hanno avuto una diffusione mondiale e il povero Alessio si è mangiato le mani perchè non lo aveva brevettato (questa teoria è personale ma verosimile).
Ho sempre provato grande rispetto per le menti logico-matematiche, li reputo dei grandi artisti che si esprimono attraverso strade alternative e fortemente codificate. Questo tipo di assetto mentale richiede fantasia e capacità di vedere le cose secondo un punto di vista differente.
I videogiochi ne sono un grande esempio in quanto traducono complessi ragionamenti e calcoli (qui affiora tutta la mia ignoranza nel settore), in trastulli e passatempi per decerebrati.
Mi correggo, sono molto meglio degli artisti e dell'arte, perchè i videogiochi sono accessibili a tutti e, attraverso una pratica minima, si schiudono con la loro serie di trucchetti e premi facendo sentire appagato chi ci gioca.
Se si prova a leggere il ragionamento che sta dietro al gioco del tetris si rischiano di contrarre crampi al cervello per lo sforzo e un imbarazzante senso di inadeguatezza. Se invece si prende in mano un qualunque dispositivo con un paio di tasti, si schiaccia “play” e ci si lascia trasportare dalla musichetta incalzante rigirando bastoncini colorati, ecco che si viene invasi da stimolante adrenalina.
Tranne nel mio caso. Sono così negata a giocare ai videogiochi che traggo godimento solo nel momento in cui scaglio il dispositivo elettronico contro un muro e lo vedo esplodere in mille pezzi, con la canzoncina che si spegne in modo lento e doloroso.
Eppure in tetris ho trovato un rimando alla filosofia di vita: dall'alto scendono stecche colorate che ricoprono tutte le possibilità di combinazione dei quattro quadrati che le compongono e noi dobbiamo sistemare tutto. Bisogna far combaciare le cose, agire in fretta e far sparire ciò che non serve più, spintonati da una cascata di nuovi arrivi. Appena si acquisisce il controllo del livello e si tira un sospiro, ecco che il ritmo incalza e la difficoltà aumenta.
Sotto aspetti diversi credo che, con un po' di fantasia, ognuno di noi possa ritrovare uno spaccato della vita in questa tipologia di meccanismi.
La parte più divertente però deve ancora venire.
Esiste una cosa, chiamata Effetto Tetris, che colpisce i giocatori più accaniti. Incasellare mattoncini per troppo tempo può provocare visioni e plasmare il modo di pensare. È riconosciuto come un fenomeno psicologico e consiste nel vedere cubetti colorati ovunque e di agire nella propria quotidianità secondo un modello ad incastro. Sostanzialmente si continua a giocare anche fuori dal gioco e ogni occasione è buona per combinare tra loro elementi, con il fine di semplificarli e farli sparire. Puf.

Ma l'aspetto che preferisco in assoluto di tetris, per il quale mi inchino al grande Alessio Leonida e che lo rende davvero una metafora della vita, è l'impossibilità di vincita.
Questa certezza matematica, dovuta ad una serie di calcoli di probabilità di combinazione dei pezzi, mi infonde una calma surreale, come il silenzio in alta montagna.
Sguardo fiero, occhi negli occhi e sorriso beffardo, mi sembra di averlo davanti il russo Pazino che mi dice: Non importa quanto ti alleni e ci provi, tanto alla fine fallirai. È una certezza.


Che sollievo.  

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