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Bastone e carota. Riflessioni da Venti5 - 2.0

Fin dalle elementari veniamo sottoposti a torture insopportabili come i giochi matematici e le terribili olimpiadi dei bambini.
In entrambi i casi si caricano i pargoli di aspettative sulle loro prestazioni e poi, messi in un sistema competitivo, falliscono miseramente. Non tutti, solo quelli che non vincono, che solitamente sono in numero maggiore.
Si parte motivati, sicuri di sé e innocentemente fiduciosi del proprio successo, perchè il mondo a quei tempi è ancora un bel posto. Nello zainetto ci sono cappellino, borraccia, adrenalina e speranza: i primi due aspettano all'arrivo mentre gli ultimi due ce li portiamo dietro sulla linea di partenza. I ricordi si sprecano e dal segnale di partenza in poi si sommano la polvere, le gambe pesanti, il tempo infinito e tutti che volano in avanti mentre altri (io), vengono imprigionati da mille mani invisibili al terreno e restano al fondo.
Lo specchio dei sogni finisce in mille frammenti luccicanti (come quello nella serie di Sailor Moon, quando i cattivi rubano i sogni alla gente etc etc), una carriera da velocista infranta in tenera età. A quanto pare la vita insegna le cose così, a pugni in faccia. Questa è la versione da bicchiere mezzo vuoto, come lo shottino di vodka che brucia lo stomaco, finisce subito e fa male. Fortunatamente negli anni si impara a bere di più, per più tempo e con qualità e questa è la versione da bicchiere mezzo pieno (ma solo perchè lo si riempie di continuo).
La metafora che sta dietro l'alcolismo è la lentezza: quelle corse campestri alle elementari non le abbiamo perse miseramente, le abbiamo vissute sotto un'altra prospettiva, magari apprezzando il paesaggio circostante. Così prendono forma i sognatori.

Questo elogio alla lentezza è arrivato, con tutta calma, insieme al quarto di secolo. In un periodo in cui ci sente braccati da cani famelici che, per quanto corriamo, riescono sempre a mordicchiarci le caviglie, alimentando l'ansia e la paura.
Come quelle scene dei film in cui la gente corre annaspando in un bosco fitto, inseguito da qualcosa di non ben definito e i battiti cardiaci salgono alle stelle. Il più delle volte finché non si fermano, smettendo di procedere a tentoni, fino a quando non decidono di guardarsi intorno e di trovare con calma una soluzione al problema, non si salvano (come Anna e Coccolone).

Rallentando si imparano più cose, si entra in relazione con questo nuovo modo che il tempo ha di scorrerci accanto. Non è più quello infinito dello studio, quello scalpitante delle serate e compassionevole delle mattine dopo. La ruota prima girava con periodi di devozione ai libri, quasi al limite con il martirio (è così che ci sente dentro), per poi giungere alla grande prova, con draghi e fuoco e poi la ricompensa per la vittoria, lo sfogo finale. Una volta ripresi, si ricominciava.

Ma come a un criceto a cui hanno cambiato la gabbietta, tutto questo non esiste più. Ora c'è un tempo dilatato, una bolla gelatinosa dove non si riesce ad avanzare e neanche a vedere bene.
Oppure una figata pazzesca, tipo nuotare in una gigantesca gelatina alla fragola.
Dipende a quanti giochi matematici e olimpiadi si è arrivati ultimi da piccoli e dalla voglia che si ha di fare nuove conoscenze. Perchè questo tempo è nuovo, tutto da conoscere.

Chi le parole le sa davvero usare dice:

Tra andarsene e restare è incerto il giorno,
innamorato della sua trasparenza.
Il pomeriggio circolare si fa baia;
nel suo calmo viavai si mescola il mondo.
Tutto è visibile e tutto è elusivo,
tutto è vicino e tutto è inafferrabile.
Le carte, il libro, il bicchiere, la matita
 riposano all'ombra dei loro nomi.
Nella mia tempia il battito del tempo ripete
la stessa testarda sillaba di sangue.
Dell'indifferente muro la luce fa
uno spettrale teatro di riflessi.
Mi scopro nel centro di un occhio;
non mi guarda, mi guardo nel suo sguardo.
Si dissipa l'istante. Immobile.
Vado e vengo: sono una pausa.
(Octavio Paz)


Il mio bicchiere mezzo pieno sta in un barbera del 2013, nel prendere la vita con distacco ma crederci fino in fondo. E poi è dimostrato che correre provoca micro traumi interni, quindi meglio lasciar perdere.

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