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Quando la vita accelera (che chissà perché ha una L sola)

In una qualche università americana con un sacco di tempo da investire, hanno riscontrato che la domanda più posta al mondo è “come stai?”. Le risposte fornite variano a seconda di una serie di fattori, ma solitamente si opta per un classico “bene grazie, e tu?” (declinato nelle varie lingue del caso).
È un quesito così utilizzato da essersi svuotato di ogni significato, è un rituale di incontro privo di contenuto. Nella maggior parte delle situazioni, chi pone la domanda non è realmente interessato alla risposta, ma la utilizza per sfuggire all'imbarazzo di un eventuale silenzio.
Eppure in quelle due apparentemente scontate parole, è racchiuso un mondo: è contenuta tutta la giornata passata, la settimana, l'ultimo mese. Hanno il potere di riportare a galla le emozioni più vive del momento, quelle che friggono sulla superficie e che quasi mai corrispondono con il “tutto bene”.
Perchè ammettiamolo, questa vita è una faticaccia. In un bel film dicono: quando sei su non è tutto bello come sembra e quando sei a terra ti sembra che non risalirai più. Ma la vita va avanti, non dimenticarlo.
E proprio qui sta la fregatura, perché il momento in cui tirare il fiato non arriva mai.
Ci si trascina tra periodi estremamente lenti, in cui succede così poco che sotto la doccia si controlla di non mettere su la muffa, ad altri in cui si hanno i capelli sempre in disordine e adrenalina e stress a livelli spaziali. Queste fasi vanno e vengono come il singhiozzo e sono incontrollabili.
Nonostante non sia nella natura umana, siamo costantemente soggetti a cambiamenti e questa cosa ci prova, ci affatica, ci rinvigorisce, ci annoia, ci cresce.
Mutiamo anche mentre dormiamo e tutti si sentono in diritto di dirci cosa ne pensano dei nostri cambiamenti: esprimono opinioni, consigli e frecciatine (ma è colpa nostra che non riconosciamo di essere un po' tonti, mentre gli altri dalla vita, la nostra soprattutto, hanno capito tutto). Anche la pubblicità delle Poste ci ricorda che siamo in continuo cambiamento, dai calzini alla morte, si finisce sempre con l'avere lontano chi vorremmo vicino e viceversa.

In tutto questo chiasso emotivo e di vicinato, dobbiamo anche essere brillanti abbastanza da non perdere noi stessi, da seguire quella flebile fiamma che è il nostro Io e che, a quanto pare, è l'unico a conoscere davvero la strada. Possiamo immaginarci come concorrenti dei magnifici Giochi Senza Frontiere mentre rincorriamo una candelina svolazzante.

Detto tutto questo, come si fa a rispondere al “come stai?”. O meglio, come si fa ad avere il coraggio di chiederlo senza vedere la voragine spazio-temporale che si spalanca nel cervello dell'altro?
Se non fosse troppo lungo da imparare a memoria ripeterei questo alle persone quando le incontro:

Che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che il vento del destino ti porti in alto a danzare con le stelle (sì, è sempre lo stesso film da cui ho preso la prima citazione).

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