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L'ingiustizia è sincera_

Come si affronta il sentimento di ingiustizia?
Con quali strumenti si può andare oltre, sciogliere il grumo dell'ingiusto dentro di noi, senza inciampare in rabbia, vendetta, frustrazione?
Se provo a descrivere la sensazione di un evento ingiusto, mi viene in mente un grosso macigno che precipita in mare, nell'oceano profondo che si trova nel nostro stomaco.
Un tonfo che trascina con sé le forze, mette in crisi la messa a fuoco e disorienta.
Nessuno schizzo, solo potenza trascinatrice verso il basso, nella quarta dimensione che le emozioni hanno dentro il nostro corpo.
Gli effetti sono una nausea da assenza, come quando si sta troppe ore senza magiare.

Il concetto di giustizia risale a tempi antichissimi e non ha mai avuto una definizione univoca e precisa. Si è sempre adattato alla storia in quanto nasce da un bisogno dell'uomo. È una legge della natura umana, è radicata in ognuno di noi ed esce quasi violentemente, come un istinto animale.
Rispettare gli altri, rispettare noi stessi, la giustizia è istinto di sopravvivenza, conservazione della nostra specie. È la cucitura tra l'anima e il corpo, a tal punto che si parla di senso di giustizia, come se si aggiungesse agli altri cinque.
La profondità di questo sentimento, lo rende difficile da definire, come le pietre di un caleidoscopio, magnifiche ma mutevoli a tal punto, da non esistere realmente. Qualcosa di estremamente infantile e questo non è mai sinonimo di semplicità (e infatti quei fannulloni dei filosofi ci hanno speso sopra vite intere).

L'ingiustizia è solo il contrario di tutto questo. È uno di quei concetti secondari che non ha una sua propria identità, ma esiste solo come derivato dell'altro. Questo è sintomo della sua potenza: ha un effetto così grande sull'essere umano che non siamo in grado di rinchiuderla in una definizione tutta sua. L'ingiustizia è illogica, in grado di privare il nostro corpo degli altri sensi: può rendere ciechi, sordi, muti, uno sgambetto all'istinto di sopravvivenza.
Posso provare a descriverla all'infinito e stanare le sue origini, ma questo non fornisce gli strumenti per fermare il macigno che continua inesorabile a sprofondare nello stomaco.
Se questo fosse un film adesso farei un primissimo piano su una zolletta di zucchero in una tazza di tea che ciondola verso il fondo, poi un gigantesco cucchiaino la raggiunge e inizia a sballottarla contro i bordi, crepandone la compattezza.

L'inquadratura sale e sul bordo della tazza, insieme alla condensa in gocce, si innalza il vapore sintomo di calore e piacere. Solo una mano che compie movimenti lenti e circolari, un soggetto di spalle, una stanza vecchio stile, musichetta e titoli di coda. Luci in sala.

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