Le sostanze appiccicose rimandano
spesso a Robin Williams: dal bagno negli spaghetti in Patch Adams a
quella cosa adorabile che è Blob, dall'immagine di Mrs Doubtfire che
si toglie la maschera dal viso all'occhio gelatinoso di Jack.
Probabilmente perchè generano solo una
lieve sensazione di disgusto che risulta ancora divertente,
nonostante ci sia qualcosa nella parola appiccicoso che fa venire i
brividi. Saranno la sequenza di “i” e “c” che compongono la
parola, ma il risultato fonetico è inquietante: corre lungo la
schiena fino a provocare la strizzatina di chiappe.
Esiste una storia che descrive
perfettamente questo tipo di sensazione (non la stretta di natiche ma
quella cosa sulle mani dopo che si mangia la frutta).
In questo racconto succedono tante
cose, ma la parte che colpisce è la descrizione dell'interno del
corpo del protagonista: regna una grande confusione e in questi
ambienti salubri e bui, si agitano delle ombre. Si parla di una
stanza dalle pareti tonde e carnose, che si gonfiano tra fumi verdi e
profonde luci rosate, come quando si mette un panno rosso sopra
l'abat-jour. Tutto sembra vuoto e in alcune zone il nero è così
denso da avere la forza di risucchiare un osservatore troppo audace.
L'aria densa e irrespirabile assorbe anche i suoni, tanto da renderli
stentati e lontani: sono luoghi che non nascono per essere ospitali,
ma per funzionare alla perfezione, in una catena che genera la vita
che si manifesta fuori.
Sono le pareti la parte più
affascinante in quanto interamente rivestite da creature
intrappolate. Sono esseri deformi, parzialmente sciolti dagli acidi,
che però non si possono liberare dalla loro condizione. Si muovono
faticosamente, assorbiti dai grassi spessi che rivestono l'ambiente,
incollati tra loro e ai muri si consumano cercando uno spiraglio di
movimento dall'impasto che li copre.
Queste ombre dense e vischiose sono le
emozioni che l'essere umano ha provato, sono la parte delle storie
vissute di cui non è riuscito a liberarsi e che ne influenzano le
scelte.
Sono descritte con la pesantezza di un
cappotto fradicio sulle pareti dello stomaco, sono cosparse di
sciroppo d'acero andato a male e si intromettono nel passaggio del
cibo, nello spiccare un salto e nelle stagioni di volo delle
farfalle.
Nel racconto poi succedono tante altre
cose inutili, eppure questa descrizione ha sempre fornito valide
spiegazioni ai trambusti intestinali. Perchè se lì dentro succede
davvero tutto questo, allora ogni tristezza, ogni paura, ogni
indecisione, trova la sua spiegazione in quei traumi appiccicati
dentro. Le emozioni hanno un ciclo vitale: nascono deboli, si
sviluppano e poi muoiono e si trasformano; quelle nello stomaco sono
emozioni raggrumate, che non sono state vissute fino in fondo e non
hanno completato il loro ciclo. Se non hanno più potere vitale e non
sono morte, allora diventano apatiche.
Alla luce di queste nuove verità si
può tranquillamente affermare che la psicoanalisi non ha capito
niente dalla vita, perchè l'intoppo non sta nel cervello ma nello
stomaco e forse basterebbero delle gran palette di metallo, come
quelle che usano i cuochi sulla piastra, per scrostare tutto (per
natale una ciascuno).
Sarà per questo che godiamo nel
cospargerci le mani di vinavil e poi strapparlo via, o proviamo una
pulsione a mangiare la coccoina e il panico per l'attak. Sono tutte
dimostrazioni di rivincita verso “l'appiccicosità” della vita.
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