Passa ai contenuti principali

La notte delle cicale _ (caleido_5)

Ho sentito da lontano il richiamo delle cicale. Ho preso niente e sono partita verso un modo diverso di sentir muovere il cuore. Come spesso sono i viaggi, anche questo è in salita e verso sud; al primo bivio è iniziato il bosco basso e fresco, con le indicazioni tra le macchie di muschio.
Man mano che salgo la radio che mi urla nella testa inizia ad avere problemi di ricezione e dopo un breve gracchiare, si ammutolisce: con il silenzio esito, nella luce ambra che resta intrappolata nelle fronde e diventa smeraldo.
Con il passo bloccato a mezz'aria mi raggiunge un rullare di pietre che franano, mi accorgo, sotto gli zoccoli di un cervo. Me lo trovo accanto che avanza sulla mia stessa via, “ciao” dice delicato.
La “piccola me” dentro la testa ritrova la voce e si mette a urlare, saltare, girare come una pazza, mentre quella fuori sfoggia magnifica compostezza “Salve. Dove sta andando?”.
Gli scappa un sorriso come se riuscisse a vedere la piccola me che strilla nella grotta del cranio, poi mi dice che sperava di trovarmi lì e che sta andando dalle cicale.
Certo, niente di più ovvio, è probabile che io abbia già incontrato un cervo parlante e che non me lo ricordi. Sotterro il mio sgomento e riprendo il passo interrotto, con lui accanto.
Camminiamo, chiacchieriamo e nel frattempo torco gli occhi per studiarlo nel suo zampettare leggero, costante e ripetitivo sulla terra. Mi sono sempre immaginata i cervi come animali sontuosi ma lui spande energia frizzante, i nervi gli si contraggono rapidi come se dovesse tenerli sempre sotto controllo, però ha una voce calda e pacata che ti fa venire voglia di impacchettare la tua vita e regalargliela. Mi accorgo che a differenza del bosco che sta diventando più fitto e scuro, lui mantiene una luminosità costante, come se avesse mangiato una lampadina che lo irradia dalla pancia: il suo equilibrio è dato dal continuo frullare dell'energia che lo attraversa. Inizio a provare piacere nel camminargli accanto.
Ricavare tutte queste informazioni interferisce con la mia capacità di ascolto e infatti non ho colto la metà delle cose che mi ha detto, se non forse che sta arrivando qualcuno, però non so.

“Una valanga!” è l'unica cosa che riesco a pensare mentre chiudo gli occhi davanti al turbine che ci corre in contro, io sono pronta ad accettare eroicamente il mio destino. Nei cinque secondi di totale silenzio che seguono percepisco crescere l'imbarazzo, come una bella piantina. Sollevo una palpebra per vedere che aspetto ha il paradiso e mi trovo quattro occhi che mi fissano, sconcertati e divertiti: due, neanche a dirlo, sono del cervo e due sono grandi, pelosi e profondi fino a perdersi. Non era una valanga era un orso e se non ha ancora ancora mangiato il cervo allora forse non mangia neanche me. Dico “ciao” e lui grugnisce, ma almeno abbiamo rotto il ghiaccio.
Riprendiamo la marcia e per cercare di capirci qualcosa rallento e metto un passo tra me e loro.
L'orso me lo sono sempre immaginata goffo e invece lui è solido, ogni zampata va esattamente dove deve andare e la precisione del gesto sembra renderlo elegante. La materia è attratta da lui e la terra gli parla, accarezzandolo con fili d'erba al suo passaggio; se non fosse per la massa ispida che lo ricopre potrei definirlo quasi indifeso. Cervo gli sta accanto saltellante e sembra ridere d'amore per questo macigno peloso che ha un'ombra scura e densa, che solo chi ha tempo saprebbe accarezzare.
Stiamo andando tutti alle cicale e io sto iniziando a divertirmi: capisco una parola ogni dieci ma c'è nell'aria un buon sapore e la notte che è arrivata non fa paura se sei con animali e spiriti.
Orso crea il riparo, confortevole e soffice, con pochi tocchi di zampa e cervo rilascia filamenti luminosi nell'aria che ci scaldano e rilassano. Io ammiro sbalordita e cerco il nutrimento.
L'alba ci trova attivi perchè il canto delle cicale è più vicino e i nostri cuori stanno cambiando il ritmo, abbiamo voglia di proseguire.
A metà giornata iniziamo ad essere stanchi ma prima che arrivi lo sconforto, il sentiero si apre su una radura e lì, nel cielo, ci aspetta un falco leggero.
Non riesco a vederlo bene, mi sembra che abbia i contorni sfumati nelle nuvole ed è sfuggente allo sguardo, al suono. Orso e cervo invece saltellano e grugniscono felici, ad ogni volteggio sembrano lasciar cadere anni di vita; il falco si abbassa su di noi e la luce del giorno cambia ancora, assume un azzurro fresco e tranquillo, che ci disseta e rinfresca tutti.
Una volta atterrato mi attraversa con uno sguardo veloce, non faccio in tempo a leggere nulla e mi sento di troppo. Ancora una volta metto un passo di distanza e più avanziamo verso le cicale più li sento rilassarsi, come se nel riunirsi avessero trovato l'andatura giusta, il giusto sguardo sul mondo e io ne approfitto per vederne qualche scorcio. Un gran bel regalo quello che mi fanno.
Nella luce del crepuscolo io mi studio il falco che a differenza degli altri due, contraccambia l'analisi e mi scappano risolini di disagio: solitamente siamo io e la piccola me nella testa ad analizzare tutto, non sono abituata ad essere scrutata ma lo capisco, saremo insieme per un pezzo di viaggio e vuole essere sicuro della compagnia. Comunque credo di essere ok perché allenta la presa anche se ancora non mi concede sorrisi.

Ogni passo è uno spasso perchè ogni decisione richiede quindici decisioni: quando sembrano aver deciso cosa ecco che si ricomincia da capo, come se le parole precedenti non fossero mai state spese. Ciò che sembrava funzionare viene rimesso in discussione e ogni bivio è una seduta parlamentare con la Natura a giudice supremo. “Non dobbiamo mai farci bastare le cose per quello che sono” mi dicono, ogni millimetro esiste per rimettere in discussione il precedente e cambiarne la prospettiva. Io, che ho fame, penso all'albume, lo zucchero e il calore che si amalgamano e fanno una meringa, fragrante.
Dicono di essere ognuno l'espansione dell'altro, ognuno è “uno”, insieme sono “tre” ma è come se fossero un “uno gigante”, divino. E ognuno di loro lo pensa degli altri. Quasi che io e la piccola me non riusciamo a capirlo.

Ai nostri piedi adesso si apre la grande valle delle cicale: mentre ridiamo con le stelle decidiamo di separarci. Sappiamo la direzione, la nostra meta comune è lì e ognuno ha dei compiti precisi da svolgere, ma la via sarà diversa per ciascuno. Orso ha impervie vette da affrontare, cervo deve trottare in pianura dove lo aspettano degli altri, falco ha il cielo e io ho ancora tanta strada.
Rompiamo l'incantesimo che ha il suono del cristallo e teniamo il cuore sulla frequenza delle cicale: ci vediamo a destinazione.



Commenti