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Una bolla a galla_

(Mi scuso per eventuali presenti e future imprecisioni e errori, scrivere da qui è complicato)

Una bolla a galla.

Il silenzio inizia con il rullo dei motori, la corsa sul cemento e il brivido dello stacco da terra, come a teatro quando le luci si abbassano e il sipario lentamente si dischiude. In quel momento la tensione vibra potente e accoglie gli ultimi muti respiri che anticipano l'aprirsi delle danze.
Per quante volte io possa fare su e giù dal cielo, arriva sempre il momento in cui la pressione si accanisce sulle mie orecchie, limitando di molto il mio udito per un prolungato periodo.
Durante l'ovattata solitudine del viaggio ho iniziato a percepire il mutare dello scorrere del tempo, un lento sfaldamento che si sposa alla perfezione con la lontananza dal mondo reale che l'assenza di suoni mi provoca.
Il silenzio e il tempo sono i primi due ballerini che compaiono alle spalle del sipario e rompono, insieme all'orchestra, la tensione che si era generata. Si muovono lenti sulla scena come bolle di sapone che si mostrano solo se intercettano casuali fasci di luce.

Il torpore di questa scena non dura a lungo e l'atterraggio scuote il corpo assopito per scaraventarlo in una realtà calda e dal l'odore pungente che risveglia sensi dimenticati ma che, per il momento, non mi restituisce l'udito. Attraverso la bolla che mi avvolge mi vedo salutare vecchi amici, parlare in un'altra lingua attraverso risate, sudore e tanta polvere.
Per quanto riguarda l'India in generale mi sento di dire che, se possono, gli indiani evitano di muoversi a piedi e di conseguenza tutto si trasforma in lunghi viaggi in macchina/pulmino/moto, con sobbalzi, curve infinite, autostrade sterrate, dossi dall'altezza vertiginosa, clacson costanti e ogni genere di essere vivente su quattro o due zampe.

Il passo a due si popola di personaggi e lascia il posto ad una complicata coreografia che è caotica solo in apparenza, perché in un mondo di rituali tutto ha un significato preciso e viene eseguito con cura e dedizione.
Mentre il tempo continua a sfaldarsi cerco di ricordarmi che è passata una settimana, un soffio, un'eternità. Durante questa ci siamo interamente dedicati (parlo al plurale perché condivido l'esperienza con un gruppo di sette artisti da tutto il mondo) alla celebrazione del Makar Shankranti, un festival tutto indiano che celebra l'inizio della primavera e la fine del periodo di duro lavoro invernale (considerando che il loro inverno è come la nostra primavera, nei mesi estivi la calura rende impossibile fare quasi ogni tipo di attività che si allontani dal vegatare).
Grazie ai nostri giovani accompagnatori, anch'essi indiani, abbiamo la fortuna di partecipare alle celebrazioni in diverse tribù dell'Orissa che ancora mantengono intatte tutte le loro tradizioni e lo stile di vita tramandandole di generazione in generazione, indifferenti all'andamento del resto del mondo e profondamente sorpresi e orgogliosi della nostra presenza.
Per descrivere quello che ho provato dovrei stilare un elenco di decine di emozioni vissute per lo più nello stesso momento, perché dire semplicemente che abbiamo danzato (tanto, tantissimo) con tamburi e voci divine, ovviamente è riduttivo e generico. Sono ancora troppo assorbita dalla situazione e il mio udito è timidamente tornato alla normalità da poco quindi, senza un apparente senso logico penso alle bolle di sapone che, catturate dal vento, si destreggiano tra mani tese e sorrisi.

Sul nostro palcoscenico intanto si accendo le luci dell'intervallo: lo spettacolo deve continuare ma per fortuna domani abbiamo il primo giorno di riposo.

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