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La grande comune_

In un posto in cui il turismo è quasi del tutto assente, l'arrivo di un numeroso gruppetto di stranieri ha provocato non poco scompiglio.
In un primo momento aggirarci per le strade del paesino ci faceva sentire come dodo sfuggiti all'estinzione: siamo stati studiati a distanza, avvicinati cautamente dai più coraggiosi che hanno rotto gli argini della timidezza e alla fine invasi da una folla invadente carica di cellulari per fotografare il dodo.
Nonostante la mancanza della distanza di sicurezza che noi occidentali siamo soliti tenere tra il nostro corpo e  quello degli estranei, ci siamo tutti, da entrambe le fazioni, lentamente abituati alle novità. A questa prima fase ne è seguita una ancora più divertente in quanto gli indiani, famosi per il loro forte senso di ospitalità, hanno iniziato a fare a gara per ospitarci a cena, pranzo, colazione, merenda, per sfoggiare a tutto il paese il loro prestigio.
Rimbalzando da una famiglia all'altra ho iniziato a individuare quali dinamiche stanno dietro una così grande generosità e accoglienza, verso perfetti sconosciuti.
Partiamo da un singolo individuo di sesso casuale e nazionalità indiana: intorno ad esso si strutturano diversi livelli di interazione sociale. In primo luogo abbiamo la famiglia, centro focale di ogni persona, che qui assume dimensioni e importanza esponenziali. Oltre alla madre, unico vero amore di ogni indiano maschio, il padre e un cospicuo numero di fratelli e sorelle, bisogna aggiungere una serie di anelli di parentado che hanno un ruolo attivo nelle dinamiche famigliari e voce in capitolo nelle decisoni da prendere.
Alle relazioni di sangue si aggiungono presto quelle di affetto, ovvero i vari "zie e zii" che tali non sono e i matrimoni, che comportano il coinvolgimento di entrambe le famiglie dei coniugi anche nelle fasi post cerimonia.
L'individuo singolo da cui ero partita viene assorbito da questo intreccio e ne fa parte lui stesso.      
I confini della famiglia diventano labili perché chiunque, a questo punto, può entrare a farne parte per una qualche ragione. Si parla quindi di comunità, ovvero insieme di persone che costruiscono la propria quotidianità con e per gli altri, e che sanno sempre tutto di tutti.
Una volta compreso a fondo questo concetto, mi guardo intorno con altri occhi e trovo una sottile logica tra le cose che prima mi apparivano magiche, come se gli indiani avessero mille occhi ed orecchie (cosa rivelatasi vera).
Racconto questo evento perché può chiarire le cose che ho provato a spiegare sopra, ma soprattutto perché è stato surreale.
La scorsa settimana noi donne ci siamo fatte incantare dalle stoffe stupende che si possono trovare qui e dalla possibilità di farsi cucire qualunque cosa su misura nel giro di poco e a buon mercato: ovviamente non abbiamo resistito e ci siamo avventurate con la smania dello shopping nelle vene. Per un po' c'è la siamo cavata bene a parlare con i commercianti ma, nel momento cruciale dell'acquisto, la situazione si è impantanata sul colore di una stoffa. Senza un apparente nesso logico una moto si avvicina al negozio e ne scende un giovane a noi sconosciuto che porge un cellulare ad una di noi, facendole capire che doveva rispondere: all'altro capo c'era il ragazzo che gestisce la residenza artistica.
Come è stato possibile? Seguendo la dinamica ricostruita in precedenza posso affermare che: Baba, il ragazzo indiano al telefono, è nato in questo villaggio e conosce ed è conosciuto da tutti. Le persone, vedendo un gruppo di donne-dodo in giro per strada, hanno iniziato a telefonargli per chiedergli se era a conoscenza del fatto che gli erano sfuggiti un po' dei suoi strani animaletti. Chiarita la nostra posizione si sono tutti interessati all'acquisto delle stoffe e, nel momento di difficoltà di comunicazione, qualcuno ha chiamato Baba che si è fatto passare la ragazza americana per capire di cosa aveva bisogno, per poi rivolgersi, sempre attraverso il cellulare dello sconosciuto in motocicletta, al negoziante e chiarirgli la situazione nella loro lingua e risolvere così il dilemma sul colore della stoffa.
Ma la storia non finisce qui, il negoziante infatti scrive qualcosa su un foglio e ce lo porge. I caratteri sono a noi illeggibili ma ci fa capire di andare due negozi più avanti e mostrarlo al proprietario. Detto fatto, ancora sconcertate dagli ultimi avvenimenti, eseguiamo gli ordini diligentemente e in un batter d'occhio siamo dal sarto che legge il foglietto, capisce qualcosa a noi oscuro, prende le misure e...tra due giorni saremo piene di vestiti confezionati apposta per noi.
Et voilà, crisi superata con successo e tutti felici, i poteri di una comunità sono infiniti.
Ammetto che un leggero senso di invadenza mi ha pervasa, ma al tempo stesso mi trovo in dinamiche cariche di affetto e attenzione reciproca che, vi assicuro, a Milano non si trovano.

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