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Se vai tu vengo anche io_

Smentita un'altra volta. Dopo la prima e traumatica esperienza con i sovraffollati treni indiani, ammetto che provavo una certa inquietudine a dover attraversare metà paese su delle rotaie.
Un po' agitata e carica di bagagli ho affrontato il primo viaggio da sola, passando la prima di una lunga serie di notti in treno. Il ritmo sferragliante dei vagoni mi ha subito raggiunta sciogliendo i nervi e le paure.
Nel giro di una settimana ho cambiato una decina di mezzi di trasporto, visitato tre cittá, scampato un'infestazione da insetti (forse), raccattato due amiche in due posti diversi e lasciato una di loro verso nuove mete, dormito poco, mangiato a caso. Insomma non ho neanche più un paio di mutande pulite.
Praticamente ho preso un treno diverso al giorno, per viaggi mai inferiori alle quattro ore e adesso mi ci sono affezionata. Li trovo carini e confortevoli, un po' intasati di gente e rumorosi, ma così caratteristici da diventare indimenticabili e poi, con tutte le storie che si portano in groppa, sono carichi di energia e magia.
È un mezzo di trasporto così sfruttato in India che le stazioni sembrano delle seconde case e le persone non si fanno problemi ad accamparsi con coperte, cibo, montagne di valigie e bambini. Trovare un posticino libero sul pavimento è impossibile a ogni ora del giorno e della notte e i più informati sugli orari dei treni e sul numero del binario, sono sempre e comunque i venditori ambulanti. La tecnica infallibile consite nel chiedere informazioni ad almeno quattro o cinque di loro, fare la media tra le risposte ricevute e dirigersi al binario, pronti a incorrere in immancabili ritardi e guasti. Io ci sono abituata, le ferrovie italiane non funzionano meglio.
Per quanto possano essere lenti e sonnacchiosi le attese e i viaggi, non manca mai nulla perché gli efficienti venditori ambulanti solcano instancabili i corridoi dei treni carichi di qualunque tipo di merce: cibo, bevande calde e fredde, snacks, bigiotteria e suole per le infradito. Ho provato praticamente tutto tranne le ciabatte.
Noi turisti sovente ci troviamo infilati tutti sullo stesso vagone, così non facciamo troppe figuracce e non gli stiamo troppo tra i piedi con il nostro incedere confuso e incerto. Noi non siamo abituati a queste atmosfere così informali, questa sensazione di casa che gli indiani si portano dietro ovunque vanno; in queste caotiche dinamiche famigliari facciamo sempre la figura dello stoccafisso in un mare di frizzanti pesciolini esotici.

Il ritmo cadenzato del treno si sposa deliziosamente con lo scorrere del paesaggio: l'alba e il tramonto che filtrano dalle grate dei finestrini, con il sole che allunga i raggi sulle pianure di risaie e palme, punteggiate di indiani accovacciati che, nella luce aranciata, si liberano del superfluo.
Ci ho messo diversi chilometri per realizzare cosa facessero tutte quelle persone rannicchiate ai bordi dei binari, della periferia o in mezzo ai campi ma poi ho capito che, con una puntualità invidiabile, fanno tranquillamente i loro bisogni, possibilmente in coppia o in piccoli gruppetti, scambiando due chiacchiere nell'attesa di finire. So che le toilette all'aperto sono un problema per questo paese, ma per una persona come me, abituata ad avere mura possibilmente spesse e insonorizzate intorno alla tazza, oltre a vescica e intestino timidi e riservati, vedere un approccio così rilassato e noncurante alle secrezioni del corpo, è affascinante e invidiabile.
In effetti dove sta il problema? Guardi l'alba, ti rilassi, scambi due parole con il vicino che sta facendo la tua stessa cosa, una sciacquatina con la bottiglia che ti sei portato dietro e via, la giornata inizia alla grande.

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