Credo di essere arrivata al punto in
cui voglio anzi devo, trovare un nuovo nome all'estate.
Per me, studentessa fino a ieri, è
sempre stato un gioioso momento dell'anno che iniziava con
festivalbar e finiva con l'acquisto della smemo.
Un susseguirsi di giorni profumati
di pesche, cloro e salsedine. Di piante secche mediterranee che
emanano una nota dolciastra portata dalle gocce di sangue
cristallizzato, rubato ai polpacci degli esploratori di deserti. L'insalatiera (la tazza era da principianti) di latte e cerali al cioccolato davanti a ignoranti telefilm
anni 90 e il pigiama come unico out fit della stagione.
Ma soprattutto l'estate era senza sensi
di colpa: era me-ri-ta-ta. Il confine tra dovere e piacere era
chiaro, buoni voti, nessun debito, bacio accademico e ci rivediamo a
settembre.
Tutto questo e mille altri piccoli
piaceri sono sempre stati racchiusi in una sola parola: estate, come
il gelato alla panna dentro il magnum.
Quindi oggi, a questo mondo senza
lucertole, lucciole e scarabei essiccati al sole, devo dare un nuovo
nome.
Dal momento che non sono una persona
superficiale e presuntuosa, ritengo che bisogna conoscere a fondo il
soggetto, prima di cambiargli il nome con cui tutto il mondo lo
conosce e lo identifica da secoli.
Ho iniziato un'approfondita analisi
della nuova identità di ciò che prima era Estate e, in primo luogo,
si evince una drastica riduzione della sua durata: da novanta dorati
giorni a sette, forse quattordici. Questa relazione sfugge a
qualunque regola matematica ma, nonostante le ovvie ragioni per
intentare una causa per crimini contro l'umanità, ho protratto la
mia analisi in certa di risvolti positivi.
Diciamo pure che non ce ne sono. Oltre
alla ridicola durata del nuovo periodo “estivo” bisogna
aggiungere la scarsità di risorse finanziare, per non dire la totale
inesistenza di risparmi per andare anche solo fino al mare (una volta
almeno avevamo gli 883 a consolarci con il loro deca o gli autogrill,
adesso ci ricordano che “#fuori c'è il sole” e noi dentro a far
la muffa).
La sabbia che si infila nei sandali
e tra le dita dei piedi è quella del cantiere sotto casa, con gli
operai che non si degnano neanche più di mandare un fischio o mezzo
apprezzamento perchè ammettiamolo, in palestra alla fine non ci
siamo mai andati.
Comunque, senza stare a lamentarsi
dell'estate più calda della storia passata a strusciarsi
sull'asfalto, mi trovo ad apprezzare la patetica situazione in cui ci
troviamo un po' tutti riunendosi a fare due chiacchiere
con il ventilatore in stile brezza marina, la vasca da bagno che
manco l'oceano e la birra, bhe quella è santa ovunque.
Si apprezzano le piccole cose e le
grandi bettole, si fa la colletta per i disagi comuni e si scrivono
tempeste d'amore aspettando che l'aria, intorno alle tre del mattino,
diventi più respirabile.
E poi se non sono gli 883 è Lucio
Battisti, l'importante è che sia cantato in modo stonato, se no
perdiamo l'alone di sfigati che tanto duramente ci stiamo costruendo.
Lasciamo stare, la parola Estate non si
addice a tutto questo, è troppo semplice e riduttiva per questa
elaborazione continua del trauma di vivere, per questo tripudio di
roseo cinismo e cupa depressione.
In assenza di inventiva e personalità,
investirò questo periodo dell'anno con un nuovo nome che ha
inventato qualcun altro che non ricordo e che quindi non citerò:
benvenuti in Galline Uova Casino Frittata.
Abbreviabile in un impronunciabile
GUCF. Mettetevi la crema solare che siamo vicini alle rughe.
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