Essendo un po' più lenta del normale
nel processare le cose, ci arrivo sempre dopo.
La sensazione è la stessa di quando
sulla giostra a catene si riesce finalmente ad acchiappare l'agognata
coda sventolante, per poi scoprire che era l'ultimo giro e il parco
chiude e tu resti lì, pennacchio alla mano e sorriso interrotto.
Fatto sta che solo ora, dopo mesi che
porto avanti questa specie di ricerca, mi sono resa conto che tutti,
tranne i ventenni, parlano di cosa voglia dire avere vent'anni (o su
di lì) al giorno d'oggi.
Sfortunatamente non sono
sufficientemente integrata “nel gruppo” per diventarne
testimonial, rappresentante o capro espiatorio, quindi mi limito ad
usare parole di ex giovincelli per spiegare un concetto che mi ha
affascinato e che ho rubato origliando una conversazione tra ventenni
reali (alla quale, ovviamente, non ero stata invitata).
Nel 1931 un certo Paul ha distrutto
ogni mia aspirazione iniziando un libro con la frase che avrei voluto
scrivere io “Avevo
vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più
bella età della vita”. Perfetta, racchiude tutto ciò che io sto
provando a sciolinare da mesi e lui l'ha pensata qualche annetto fa.
Come dicevo all'inizio ho bisogno dei miei tempi per capire le cose,
ma al tempo stesso mi sento sollevata.
Iniziavo
ad immaginarmi sulla quarantina, avvolta in una coperta patchwork con
gelato in mano e capelli sporchi, a tirare palline di alluminio sulla
collezione di mulini a vento in ceramica triste. Invece c'è chi sta
peggio di me e ci stava già un secolo fa, e questo contribuisce a
mettere fine alle favole sulla gioventù. È un periodo
sopravvalutato, si dice che chi sopravvive alla propria giovinezza e
affronta se stesso può aspirare a salvare l'intero universo.
Si
hanno troppe domande, idee, incertezze e zero esperienza; come quando
si entra all'Ikea per comprare una lampadina e si esce con l'intero
arredamento di cose inutili per un appartamento che neanche si
possiede.
Basterebbe
non prendersi troppo sul serio perché a vent'anni non si hanno
problemi ma catastrofi divine che il più delle volte si traducono in
scene altamente imbarazzanti, quindi o si passano una decina d'anni a
fare il muso o la si butta sul ridere e si mangia tanto gelato
(questo metodo è ampiamente testato). Bisogna aggrapparsi a
qualunque effimera speranza, come quella che ho colto nella
conversazione da pub che ho origliato: ammetto che il collegamento
tra quello che ho scritto fin qui e ciò che sto per mettere giù può
apparire forzato ma, mal che vada, si può sempre sfoggiare come
nozione per risultare brillanti in pubblico.
L'universo
è un insieme di forze puntiformi e noi ne facciamo parte (fin qui
niente di speciale).
Come
essere viventi ci inseriamo in esse in una condizione di equilibrio
che si dimostra, ad esempio, nel fatto che riusciamo a stare in piedi
senza collassare sotto l'effetto della forza di gravità. Questo
fenomeno ruota intorno al baricentro, che io mi immagino come una
biglia argentata dietro il nostro ombelico (come quella dei geomag),
attorno alla quale oscilliamo felicemente.
Il
parallelismo che ho voluto vedere tra equilibrio e senso della vita
sta nel fatto che il primo è una condizione naturale, attorno alla
quale costruiamo movimenti compensatori, frutto dell'esperienza.
Siamo degli strateghi nati: pianifichiamo ogni minimo spostamento del
nostro corpo in funzione dell'equilibrio e lo facciamo per mezzo di
un delicato e complesso processo di integrazione. Adattiamo il nostro
corpo allo spazio e diventiamo zone neutre, in grado di annullare
tutte le forze che agiscono su di noi per mantenere una stabilità,
per stare in piedi insomma.
Questa
compensazione avviene in anticipo sul tempo reale, ovvero il nostro
cervello è in grado, grazie all'esperienza, di prevedere il futuro e
impedire un continuo schiantarsi al suolo.
Quindi
mio caro Paul, i vent'anni faranno anche schifo e su questo siamo
d'accordo, passeranno presto e tra una ventina di anni saranno belli,
a ripensarci.
Ma
per oggi io me la godo perché ho appreso che il mio cervello è in
grado di prevedere il futuro e io mi devo scegliere un nome da super
eroe.
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