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tambourine monkey _

Non riesco a darmi pace. Penso e ripenso, roba da non dormirci quasi la notte.

Partiamo dal fatto che sono una grande sostenitrice delle ossessioni, credo che siano una forma alternativa di amore. Fare di qualcosa la nostra ossessione, ci infonde una costanza e delle capacità, di cui altrimenti saremmo privi.
Indirizzando la maggior parte delle energie verso una sola cosa, questa esplode tra le nostre mani, mostrandosi in tutti i suoi infiniti aspetti che aumentano la nostra voracità, e il desiderio di perfezionarla, portando lei e noi a livelli sempre crescenti, quasi ci sentissimo Jonathan Livingston.

Immagino che qualche sopracciglio non abbia resistito alla tentazione di alzarsi, ma qui non si intende l'ossessione con quell'accezione negativa che ormai le appartiene. Stiamo parlando di impegno, costanza e determinazione, passione, quella pura, e non malattia e annebbiamento. In un'epoca come la nostra in cui domina l'apparire, l'ossessione rappresenta una scheggiatura nella superficie, un barlume verso il profondo che si rivolge alla cultura in tutte le sue sfaccettature, all'amore per i lavori manuali ben fatti e al bisogno di bellezza tutto intorno a noi.

Ma tornando alle mie notti in bianco, c'è qualcosa che non riesco a capire.
L'arte è la mia ossessione, perché dentro di me lei è impetuosa passione, è un fiume in piena che ti travolge togliendoti il respiro, ma solo per trasportanti in luoghi migliori, che non credevi esistere.
L'arte è un insieme infinito di ossessioni che si manifestano nelle forme più disparate, come tante brecce sulla superficie, che tendono a squarciare completamente quel velo, che sembra nascondere costantemente qualcosa.
Ora mi fermo, perché mi guardo intorno e l'arte (sia inteso, in tutte le sue forme), non è questo.
Sembra più che altro un animale in gabbia, mi viene in mente una scimmia profumata e imbellettata, che si aggira titubante in un elegante salone ottocentesco, tra ospiti elegantemente vestiti di sorrisi tirati e calici riempiti.
Ma la scimmia ha gli occhi tristi.

Che storia struggente, vero? e invece no, fa rabbia.
L'arte ha la potenza e i mezzi per restare fuori dal coro, e invece si è placidamente unica al canto sommesso della società.
Magari avesse gettato le armi, le ha vendute al nemico prima ancora di sfoderarle e non certo per questioni pacifiste. Ormai è una gara a chi gonfia di più il suo smisurato ego.
Fatto sta che il risultato è un senso di incompletezza e vaga noia che accompagna ogni tipo di spettatore che viene a contatto con l'arte contemporanea. Già visto, spreco di soldi, manca qualcosa.
Esatto, manca qualcosa.
Manca l'ossessione per il proprio lavoro, che dona concentrazione e desiderio di perfezione, voglia di fare bene e curare il lavoro in ogni suo aspetto: nella qualità, non nella quantità; nella lentezza, non nella fretta; nella precisione, non nella vaghezza.
Quello che disorienta è l'aria asettica che circonda le opere e pervade le mostre: il silenzio fa tacere anche le opere, il bianco sterilizza ogni forma di contagio e nessuno ne esce arricchito (come invece dovrebbe essere).
Queste assenze sono chiare a molti e la voglia di cambiare inizia a scalpitare, ma le risposte ancora si cercano in un passato che appare d'oro, ma è solo porporina.



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